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Le culle vuote di un Paese sempre più vecchio

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di BEPPE ELIA

I dati dell’ISTAT sulla denatalità del nostro Paese tornano ogni tanto ad occupare le pagine dei giornali: fuggevolmente, come tutti i temi scomodi, che non suscitano dibattiti infuocati, che richiedono ponderazione e scelte difficili.

I numeri, nella loro nudità, sono impietosi. Nel 2015 in Italia la media dei figli per donna è stato di 1,35, a segnare un andamento negativo che prosegue da molti anni, e che sarebbe anche peggiore se non provvedessero le donne straniere, la cui media di natalità sfiora il valore 2.

Qualche riflessione seria in merito c’è, ma non lascia molta traccia, in una classe dirigente impegnata su ben altri fronti e in una società che sembra poco interessata a guardare lontano, presa com’è dal gestire l’oggi.

Nel Progetto Camaldoli del MEIC, scritto 9 anni fa, il tema era già ben presente, e varrebbe la pena riprendere quelle analisi e quelle proposte, che mantengono in larga parte il loro valore. Dicevamo allora che la questione richiedeva interventi urgenti; purtroppo quasi nulla si è mosso, anzi la crisi economica degli anni successivi ha congelato ogni possibile iniziativa di cambiamento.

Alcuni commentatori affermano che non è poi un gran male se la popolazione italiana diminuisce, poiché in tal modo si riduce il carico antropico su un territorio già molto popolato. Ma la realtà presenta ben altri aspetti che non possiamo facilmente eludere:

  • con tassi di natalità così bassi, l’invecchiamento della popolazione diviene un grave problema sociale: non solo perché ai pochi giovani spetta l’onere di sostenere i molti anziani, ma anche perché viene a mancare quell’apporto di creatività e di vivacità che solo rende possibile il rinnovamento di una società;
  • se è vero che le donne straniere sono più prolifiche di quelle italiane, nel tempo tende a diminuire il numero medio di figli procreati (era 2,65 nel 2008, è oggi inferiore a 2) e quindi vi è un progressivo avvicinamento agli standard della popolazione italiana; e non credo che appelli come quelli di Erdogan alle donne turche residenti all’estero perché facciano molti figli saranno ascoltati, perché altre sono le motivazioni che determinano scelte così personali;
  • se fra le cause della denatalità vi è anche l’emergere di modelli individualistici per i quali paternità e maternità sono visti come una limitazione per il proprio successo e benessere personale, dobbiamo rilevare che i giovani sono invece mediamente orientati ad avere più di un figlio (vi sono indagini sociologiche che lo evidenziano), e che al raggiungimento di questo obiettivo si frappongano cause di natura economica, difficoltà nell’organizzazione della vita famigliare, poca disponibilità di servizi per l’infanzia e la famiglia.

Anche da questo punto di vista, dare un lavoro degno di questo nome ai più giovani, e in particolare alle donne, garantendo la loro autonomia, fornire strumenti di conciliazione lavoro – famiglia, elaborare strategie economiche orientate a sostenere nel tempo le famiglie e a favorire la natalità, costituiscono priorità assolute. Siamo molto in ritardo, e se nulla si muove i problemi sociali del nostro Paese potrebbero divenire drammatici.