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D’Andrea: “Garantire diritti e solidarietà tra conviventi. Sull’adozione valuti il giudice”

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di LUIGI D’ANDREA

Il disegno di legge in discussione davanti alle Camere si caratterizza ad un tempo per indubitabile doverosità e per estrema delicatezza. Appare ormai doveroso – anche perché e conforme all’ineludibile esigenza istituzionale di riequilibrare i rapporti tra potere legislativo e potere giudiziario al riguardo – disciplinare con una legge le forme di convivenza diverse dalla famiglia, quale configurata dall’art. 29 Cost.: il legislatore è stato autorevolmente sollecitato ad intervenire su una realtà sociale ormai non più trascurabile anche sul piano statistico dalla storica sentenza della Corte costituzionale n. 138/2010, ed è stato “messo in mora” da una recente pronunzia della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo; e senza dubbio tale disegno normativo involge il tessuto relazionale quotidiano dei soggetti conviventi, rispetto ai quali inerisce a questioni decisive per l’identità personale e per le aspirazioni più profonde, e riguarda strutture fondamentali dell’assetto comunitario complessivo. È necessario che il dibattito pubblico intorno a questa problematica si mostri sempre rispettoso delle diverse sensibilità e delle molteplici esigenze ravvisabili nel tessuto civile, nonché consapevole dei limiti intrinseci che appartengono al sistema giuridico allorquando assuma ad oggetto fenomeni sociali di simile natura, che possono essere disciplinati e governati nella misura in cui ne vengono assecondate le spontanee conformazioni complessive e le autonome dinamiche.

Quanto al merito dell’articolato normativo, sembra necessario evidenziare l’esigenza di delineare i contorni giuridici di quella “specifica formazione sociale” che è l’unione civile, differenziata dalla famiglia quale “società natura fondata sul matrimonio” e modellata dal paradigma eterosessuale, secondo il dettato della sentenza costituzionale già richiamata: tale disciplina deve essere orientata alla garanzia dei diritti fondamentali delle persone conviventi (salute, abitazione, pensione, successione …) e ad introdurre elementi solidaristici (finalizzati alla tutela del convivente più debole) in relazioni che altrimenti resterebbero affidate ad una logica individualistica ed alla brutale “legge del più forte”.

Infine, con riferimento all’adozione coparentale (la c.d. stepchild adoption), conviene abbandonare ogni tentazione a conformare la disciplina normativa secondo una logica che ne privilegi il valore “simbolico” (quale che sia la tesi che si vuole appunto simbolicamente sugellare), assicurando comunque al giudice il potere di individuare, caso per caso, la soluzione che meglio tutela il concreto interesse del minore.

*LUIGI D’ANDREA è professore ordinario di Diritto costituzionale all’Università di Messina e vicepresidente nazionale del MEIC