1. Home
  2. Meic nazionale
  3. VIENI SIGNORE GESU’! Maria, il dono di una visita

VIENI SIGNORE GESU’! Maria, il dono di una visita

0

20 Dicembre 2015

di DON GIOVANNI TANGORRA

1) L’icona dell’avvento

La liturgia odierna focalizza una delle figure più dolci del grande racconto cristiano: Maria, così viva da parlare anche nel silenzio. Lei ha acceso la speranza generando il Cristo nel grembo e nella fede, anzi, come scrive Sant’Agostino, prius in mente (nella fede) quam ventre. Il mistero l’ha abbracciata come un mantello, ma non ha cancellato la sua umanità, e il grido del suo parto risuona ancora nell’inverno del mondo. Dal suo volto brilla il sorriso di un amore rovente, che ti stringe la mano lungo la strada dei ghiacciai. Il titolo che meglio le si addice è quello di “donna”, con cui ha obbligato i Vangeli a declinare al femminile la storia della salvezza. La sua parte è quella dei piccoli passi, ma Giovanni la scruta sotto la croce, raffigurandola con la potente espressione dello stabat mater «Stava presso la croce di Gesù sua madre» (Gv 19,25). La Chiesa dei discepoli-maschi si è eclissata per la paura, mentre la Chiesa-Maria è lì. A questo suo atto è affidata la comunità futura e pellegrina.
L’impressione odierna è che la devozione mariana sia in ribasso, che appartenga agli oggetti di antiquariato, belli da vedere ma senza pratica utilità; e non manca chi ritiene Maria ingombrante ai fini di un cristianesimo che si vuole adulto. Eppure proprio Maria può intervenire a correggere un cristianesimo maschilista, che indugia troppo nell’attribuire alle donne il ruolo di vero anello carismatico della trasmissione della fede: donne anonime, giovani ragazze, mogli coraggiose, madri audaci, nonne sagge, scrigni preziosi della memoria. Se il centro del messaggio è occupato da Cristo, Maria è per lo meno centrale, e la incontriamo nei momenti di svolta del piano divino, a cominciare dall’incarnazione, tanto da far scrivere a Karl Rahner che «chi non condivide questo dogma, non può comprendere la mariologia cattolica». Il Vaticano II ha scelto la via ecclesiologica, e l’ha presentata modello e tipo di ciò che la Chiesa «nella sua totalità desidera e spera di essere» (SC 103).
Le letture antropologiche riduttive, che hanno portato a trasferire in Maria lo specifico di donna passiva, o della casalinga perfetta, confinata nel focolare domestico, non corrispondono ai testi della Scrittura, che mostrano invece di saper uscire dai canoni culturali del tempo. Nella scena dell’annunciazione, questa giovane donna, poco più che adolescente, elabora il suo fiat in modo autonomo, ascoltando, dialogando, e presentando il proprio punto di vista. L’angelo, lo stesso che in una situazione simile aveva punito Zaccaria, non mostra segni di fastidio, ma risponde dolcemente a tutte le domande. Ed è così che libertà divina e libertà umana si incontrano, nella leggerezza di un Ave Maria, che scompare in un battito d’ali. Maria non va nemmeno da Giuseppe a chiedere suggerimenti, ma si assume da sola la piena responsabilità del sì. Meditando questa scena, Paolo VI ha così formulato il rapporto tra Maria e la donna moderna nella Marialis cultus:

«La donna contemporanea, desiderosa di partecipare con potere decisionale alle scelte della comunità, contemplerà con intima gioia Maria che, assunta al dialogo con Dio, dà il suo consenso attivo e responsabile non alla soluzione di un problema contingente, ma a quell’opera di secoli, come è stata giustamente chiamata l’incarnazione del Verbo […]. Così constaterà con lieta sorpresa che Maria di Nazaret, pur completamente abbandonata alla volontà del Signore, fu tutt’altro che donna passivamente remissiva o di una religiosità alienante, ma donna che non dubitò di proclamare che Dio è vindice degli umili e degli oppressi e rovescia dai loro troni i potenti del mondo» (n. 37).

2) Il dono di una visita

C’è un mistero umano e divino nella “visita”. Lo si avverte quando il luogo solitario si riempie di volti e splende del piacere di stare insieme. Per quanto breve sia il tempo, basta per consolarsi e abbracciarsi. La visita è un dono, e per realizzarla occorre smuoversi, alzarsi, uscire, andare e vedere di persona come stanno veramente le cose. Per questo rientra tra le opere di misericordia: «Ero ammalato, carcerato e mi avete visitato» (Mt 25,36). Le grandi cose stanno nei piccoli gesti. Proviamo a chiederci chi attende una nostra visita, persone che abbiamo perduto per via, anziani rinchiusi in qualche ospizio, o nuovi amici da guardare. A volte siamo noi stessi a non ricevere visite, ma proviamo a fare il primo passo, e prendere l’iniziativa, anche andando a visitare una città nuova, per incontrare facce sconosciute. Ogni visita è un piccolo sacramento, perché Dio l’ha scelta come simbolo del suo avvento. «Un grande profeta è sorto tra noi e Dio ha visitato il suo popolo» (Lc 7,17).
Nei misteri cristologici abbiamo una “visitazione”, oggetto del vangelo del giorno (Lc 1,39-45). Saputo che la cugina Elisabetta stava per partorire, Maria si mette in viaggio “in tutta fretta”. Ed è strano che Luca, così vago nel dirci date e luoghi, non trascuri questo particolare, con cui esprime la sollecitudine della carità. È la vera informazione che interessa chi scrive una storia di salvezza: il modo in cui si compie un’azione. E ci sembra di vederla, Maria, che prepara il suo bagaglio, si alza e corre verso la cugina più anziana, in attesa di un figlio ormai non più sperato. La virtù dello Spirito è il movimento. Avviene così un incontro tutto al femminile, di due madri, che portano in grembo il mistero di una vita, e che si occupano di cose quotidiane. Non è una visita breve, ma dura tre mesi, il tempo necessario per una carità completa. Il clima dell’incontro è carico di gioia e di grazia. Più grandi sono i figli che scalciano nel loro grembo, ma sono le due donne a occupare tutta la scena.
Teologicamente l’episodio assume vari significati. Innanzitutto l’incontro tra l’antico e il Nuovo Testamento, tra Giovanni Battista, l’ultima voce dei profeti, e Gesù, la Parola che viene. Maria è rappresentata nel tipo dell’arca dell’alleanza che porta in sé la promessa. Elisabetta completa l’Ave Maria con due riconoscimenti: benedetta sei tu fra le donne, e benedetto è il frutto del tuo grembo. Nella leggerezza di quest’incontro non sono semplici complimenti, ma espressioni di stupore: queste due donne stanno aprendo la porta della storia della salvezza! Poi giunge l’elogio più importante, quello di aver “creduto”. Per questa fede Maria è divenuta Madre del suo Signore, e la fede è la sua beatitudine. Il suo silenzio, simbolo dell’amore operante, sarà presto interrotto dall’inno dei poveri, il magnificat. Maria in visita diventa la Chiesa visitante, e in questo cantico consegna a noi le sue orme, perché sappiamo andare incontro a coloro che sono di solito esclusi dalla lista degli invitati.

«Per Maria tale visita diventa la prima azione ecclesiale. Per la prima volta piedi umani portano Cristo agli uomini e gli “rendono possibile” la sua opera di santificazione. Questa è la prima missione che deve compiere Maria investita del suo nuovo compito nei confronti di Cristo, e non è di poco conto il fatto che ella venga determinata a tale missione attraverso il puro amore del prossimo» (Alois Müller).