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Lettera aperta sull'Ilva: due risposte

16 Gennaio 2013

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All'inizio di gennaio abbiamo pubblicato sul nostro sito una lettera aperta di Pierino Lacorte, presidente del Meic di Ostuni, sulla complessa e dolorosa vicenda dell'ILVA di Taranto. Il presidente del Meic di Lucca, Raffaele Savigni, e il vicepresidente nazionale Beppe Elia ci hanno inviato due distinte risposte, che pubblichiamo.


Mediare tra salute e lavoro si deve
di Raffaele Savigni - presidente del Meic di Lucca

Ho letto l'intervento appassionato e "radicale" di Pierino La Corte sulla vicenda dell'Ilva. Comprendo lo sfogo, ma non ne condivido le valutazioni. Ritengo che in questa vicenda vada stigmatizzato il comportamento dell'azienda inquinante, ma che il Governo si sia mosso con saggezza, tenendo conto del diritto alla salute ma anche del diritto al lavoro, sulla base di quella cultura della mediazione che è tipica anche del nostro Movimento: il provvedimento del Governo ha infatti imposto all'azienda di procedere al risanamento ambientale, ma si è altresì preoccupato di salvaguardare i posti di lavoro, in un contesto di forte tensione sociale e di crisi economica evitando una chiusura generalizzata e "sine die" degli impianti che avrebbe avuto pesantissime conseguenze sociali oltre che economiche. Mi è invece sembrato eccessivamente rigido il comportamento di una parte della Magistrastura che si è mossa sulla base di principi teorici astratti senza tener conto delle conseguenze pratiche di certe decisioni.
Chi governa deve decidere sulla base di un'"etica della responsabilità" e non solo "delle convinzioni": deve cioè valutare quali precise conseguenze pratiche derivano da una certa scelta. E tali conseguenze possono implicare la perdita di migliaia di posti di lavoro, e quindi la riduzione in povertà di migliaia di famiglie. Deliberare una graduale ripresa della produzione man mano che procede il lavoro di disinquinamento appare quindi come la soluzione più ragionevole, che tiene conto di tutti i valori in gioco (diritto alla salute e diritto al lavoro).
In astratto una società priva di industrie sarebbe probabilmente meno inquinata rispetto alla nostra società industriale, ma sarebbe certamente assai più povera e in definitiva segnata da una mortalità più diffusa (come avveniva nelle società preindustriali, non dimentichiamolo).
Inoltre propugnare una drastica chiusura dell'azienda può essere una scelta teoricamente gratificamente per chi non rischia nuilla in proprio: assai menop per chi vive sulla propria pelle il dramma di una perdita del lavoro e delle certezze esistenziali legate al diritto al lavoro.


Usciamo dalle logiche di contrapposizione
di Beppe Elia - vicepresidente nazionale del Meic

La lettera che Pierino Lacorte ha scritto a proposito dell'ILVA e nella quale, a partire da un giudizio fortemente critico nei confronti del decreto emanato dall'attuale governo, pone alcune questioni di grande rilievo umano e sociale, richiede che la nostra associazione esprima su esse una riflessione seria, attraverso il contributo dei molti amici che hanno pensieri, domande, proposte da formulare in merito.
Comincio a farlo io.

1) Pur non avendo una conoscenza puntuale dei dati relativi alle immissioni inquinanti né di quelli epidemiologici, le informazioni desunte dagli organi di stampa rendono evidente il fatto che esiste un nesso di causalità tra tali immissioni e molti effetti negativi sulla popolazione e sull'ambiente. Del resto il fatto che la nuova autorizzazione integrata ambientale preveda una serie molto estesa di interventi migliorativi evidenzia una situazione di significativa gravità. Ovviamente occorre capire quanta parte di tali immissioni sono da imputare ad ILVA (da quanto mi è dato a sapere, una parte cospicua per alcune di esse), evitando generalizzazioni non veritiere (dubito ad esempio che i mesoteliomi, connessi all'esposizione all'amianto, siano da attribuire in via prioritaria allo stabilimento dell'ILVA);
2) Nel valutare la situazione epidemiologica, occorre tenere presente che molte delle malattie (in particolare i tumori) possono essere indotti da esposizioni risalenti ad anni o decenni addietro (dove alcuni tipi di inquinanti erano probabilmente presenti in misura molto maggiore di oggi). E questo non tanto per domandarci chi sia il più colpevole (se gli attuali proprietari /dirigenti dell'ILVA o quelli dell'ex Italsider), ma per comprendere quanto le attuali immissioni di sostanze nocive siano ancora pericolose. Probabilmente questa valutazione è stata fatta (anche se lo ignoro), perché solo da essa è possibile trarre adeguate linee strategiche per il futuro;
3) Per ragionare circa l'ammissibilità di interventi di risanamento mantenendo l'attività produttiva dell'ILVA, occorre chiarire tale punto: la presenza di un determinato livello di inquinamento per un numero limitato di anni (il tempo necessario per completare le opere di risanamento) determina un rischio inaccettabile? Se la risposta fosse affermativa la posizione di Pierino Lacorte sarebbe fondata, perché non si può sacrificare la salute di una comunità per salvaguardare una realtà produttiva, per quanto importante;
4) Ma il rischio di una esposizione agli attuali livelli di inquinamento (e progressivamente in diminuzione) per tempi limitati è realmente inaccettabile? La questione del rischio è nota a tutti coloro che si occupano di igiene del lavoro e di igiene ambientale. Il termine "rischio zero" è una pura astrazione, perché ogni attività umana comporta un rischio: il nostro sforzo deve esser quello di minimizzarlo, ma non potremo mai del tutto eliminarlo. Anche guardando la situazione dell'ILVA occorre considerare che siamo di fronte ad una realtà complessa, dove ogni scelta comporta una serie di aspetti positivi, ma anche un insieme di elementi critici. Si tratta di mettere lucidamente a confronto questi fattori per stabilire la strategia migliore, definendo nel contempo quale soglia di rischio può esser accettata. Può sembrare un ragionamento troppo razionale questo; in realtà è quello che facciamo in moltissime altre situazioni, senza troppo pensarci: ad esempio tutti noi sappiamo che la rilevanza delle malattie polmonari nelle grandi città (tumori compresi) è molto superiore a quella che si riscontra in aree meno urbanizzate, e ciò a causa del traffico veicolare (soprattutto per alcuni fattori inquinanti); la soluzione radicale del problema richiederebbe, non le domeniche ecologiche, ma la eliminazione del traffico in tutti i giorni della settimana, ipotesi che sarebbe giudicata insensata per molte ragioni; e quindi accettiamo determinati livelli di rischio, cui faticosamente cerchiamo di adeguarci, senza spesso riuscirci (nella mia città il limite ammesso per le polveri sottili è sforato in moltissime giornate nel periodo invernale, eppure tale limite non è una soglia di rischio nullo). Ritornando alla questione dell'ILVA, per assumere una decisione è quindi necessario ragionare sui dati, senza dimenticare che nella valutazione delle malattie occorre mettere in conto (come, in più occasioni, ha fatto rilevare Renato Balduzzi) anche quelle che possono derivare, ai dipendenti dell'ILVA e delle aziende dell'indotto, dalla improvvisa mancanza di lavoro.
5) Vi sono poi due ulteriori considerazioni che mi pare opportuno fare. Se si dovesse arrivare alla determinazione di fermare per alcuni anni l'ILVA per eseguire e completare gli interventi di risanamento, oltre al mancato reddito aziendale, si aggiungerebbe l'uscita dal mercato degli acciai piani, che dovrà trovare nell'immediato dei nuovi equilibri. Siamo certi che, quando l'azienda ritornerà ad essere produttiva, troverà spazio nel mercato? Non sono un economista, e quindi lascio questo interrogativo senza una mia risposta.
6) Sempre partendo dall'idea di non poter accettare gli attuali livelli di inquinamento dell'ILVA neppure per il periodo temporale in cui si eseguono le opere di risanamento, esiste solo la fermata dell'impianto come unica possibilità? Nei giorni scorsi il ministro Clini ha ipotizzato lo spostamento delle popolazioni più a rischio in altre zone; ritengo personalmente inaccettabile tale proposta se questa operazione ha il carattere della definitività, poiché un quartiere non è solo un insieme di singole persone o famiglie, ma una comunità, che ha radici in quel luogo; non solo, ma esiste un patrimonio ambientale che va salvaguardato. Tuttavia, se questo spostamento avesse un carattere temporaneo (definito in modo puntuale), perché non considerarlo fra le ipotesi in discussione?

Rimane la questione di fondo posta da Pierino Lacorte: e cioè che all'origine di tante nostre questioni ambientali hanno imperato motivazioni (di natura economica, ma anche di natura sociale) che non avevano alcuna visione d'insieme, non sapevano guardare con adeguata lungimiranza al territorio e alle genti che lo abitavano. E questo purtroppo si va ancora perpetuando, non solo al Sud.

Credo che la riflessione del nostro Progetto Camaldoli, integrato con alcune riflessioni più recenti (alcuni interventi di Luigi Fusco Girard meriterebbero ad esempio una divulgazione più ampia, e così le relazioni e i dibattiti del recente convegno di Ostuni) possa essere una buona base per esprimerci, come MEIC. anche sul caso dell'ILVA, uscendo da logiche di contrapposizione che credo non rendano giustizia ai cittadini di Taranto e ai lavoratori dell'ILVA.

Credo che occorra aprire una discussione, all'interno dell'Osservatorio dedicato al lavoro e all'economia, fra chi ha idee e proposte da formulare. Mi propongo di approfondire alcune delle questioni che ho sollevato, nel momento in cui avrò a disposizione dei dati e delle informazioni più precise rispetto a quelle mie attuali.