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Lettera aperta sull'Ilva

04 Gennaio 2013

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Pubblichiamo di seguito una lettera aperta di Pierino Lacorte, presidente del Meic di Ostuni, al presidente nazionale Cirotto e all'assistente don Zuccaro. Si tratta di una riflessione sulla complessa e dolorosa vicenda dell'ILVA di Taranto. La condividiamo per aprire un dibattito con chiunque voglia discuterne.

 


Al Prof. Carlo Cirotto - Presidente nazionale MEIC
Al Rev. Mons. Cataldo Zuccaro - Assistente nazionale MEIC

Cari amici,
vivo in una profonda trepidazione per come vedo vivere, ai vari livelli, l'attuale delicata situazione in cui versa il nostro Paese.
Vedo una Chiesa che diventa sempre più gerarchica, nonostante il Concilio, quel Concilio sul quale abbiamo deciso di riflettere nel corso del corrente anno sociale.
Vedo una comunità civile che non ha più fiducia nelle istituzioni e si rifugia in un assenteismo sempre più diffuso il quale può essere foriero di un futuro di una gravità imprevedibile.
A fronte di una situazione siffatta ho la chiara impressione che il MEIC continui a percorrere una strada che non gli offre significanza alcuna nella vita della Chiesa e in quella della comunità civile.
Ho insistito più volte sulla necessità di smettere di parlarci addosso nei vari incontri, nei vari estenuanti dibattiti che non si traducono poi in azioni concrete.
Accadono cose nella vita della Chiesa e in quella della Nazione che ci lasciano spesso indifferenti.
Lasciamo che la gerarchia invada sempre più i campi di nostra specifica competenza laicale, per quanto giustificata dalla nostra ignavia, ed entri nel merito di problematiche molto serie con dichiarazioni, delle quali, talora, farebbe bene ad astenersi.
Lasciamo che i poteri istituzionali adottino soluzioni non condivisibili sul piano etico, come nel caso dell'ILVA di Taranto e non esprimiamo, con pacatezza e coraggio, il nostro punto di vista di intellettuali e di uomini di fede, almeno utile a sostenere il nostro socio e amico che ha assunto un gravoso compito nella compagine governativa.
È mai possibile che nessuno abbia il coraggio di affermare con fermezza che la vita di una sola persona vale, secondo il Vangelo e secondo i più comuni principi etici laici consolidati, molto più di un'industria che si ritiene debba continuare a rimanere in attività al fine di mantenere in vita l'intero ciclo produttivo dell'acciaio? Prevale evidentemente nel decreto legge del governo il principio del bene economico della nazione, composta da oltre sessanta milioni di persone, nei confronti del diritto ad una vita sicura di appena alcune centinaia di migliaia di persone.
Si sostiene che è doveroso assicurare il lavoro a circa ventimila persone e perciò si ritiene necessario che l'ILVA continui a produrre anche nel corso dei lavori di disinquinamento; se poi tale produzione espone, sia pure in modo decrescente in rapporto al progredire della bonifica, i lavoratori a rischi per la loro salute, ciò non costituisce un problema di cui farsi carico.
Sembra ormai che la difesa della salute come diritto primario della persona sia rimasto appannaggio della magistratura, le cui decisioni, si ritiene, dovrebbero cedere alle leggi dello Stato, qualunque fondamento esse abbiano.
Tutto ciò sarebbe passato sotto silenzio se un'intera popolazione non avesse avuto il coraggio di opporsi ad una decisione legislativa che non risolve pienamente il problema, così come ha fatto rilevare una mamma di Taranto con una straziante lettera indirizzata al capo dello Stato, il quale ha ritenuto di giustificare la sua firma al decreto legge, sostenendo che esso non riguarda solo l'ILVA ma anche tutte le altre realtà industriali italiane in difficoltà, nelle quali è necessario intervenire per garantire interventi a protezione dell'ambiente e a difesa della salute dei cittadini. Ma è bene rilevare che il caso Taranto è particolarmente importante per la gravità e la vastità di un inquinamento che investe un esteso comprensorio, nel quale sono compromesse attività produttive locali rilevanti, come l'agricoltura, la zootecnia, la mitilicultura, le quali, sin dai tempi della Magna Grecia, assicurano vita e benessere alla popolazione.
In una situazione così complessa e non facilmente risolvibile è poi intervenuto il presidente della CEI con una nota apparsa su "Avvenire" del 5 dicembre, con la quale ha pienamente condiviso e legittimato l'operato del governo, secondo il criterio di scelta di una "via mediana" che, personalmente, non riesco a comprendere su quali principi si fondi.
Ancora una volta appare evidente l'opportunità che qualche volta la gerarchia si astenga dall'esprimere giudizi sull'operato di organismi politici, secondo quanto viene sancito nella "Gaudium et spes", a proposito del ruolo dei laici nella vita civile, i cui rappresentanti più qualificati per livello culturale continuano a non esprimere giudizi di merito e a non prendere posizione su problemi gravi, come accade spesso nel nostro movimento. E meno male che c'è un Presidente nazionale dell'Azione Cattolica che, quando è necessario, interviene a proposito a nome di tutti noi, interpretando i "segni dei tempi' che ci è dato di vivere, così come ha fatto con la dichiarazione pubblicata su ‘Avvenire" del giorno 8 dicembre, con la quale fa osservare che "aderire all'Azione Cattolica vuol dire compiere una scelta personale e libera, che permette poi di effettuare altre scelte, anche esse liberamente. È un sì che indica un senso di appartenenza alla Chiesa e all'Associazione, dal quale scaturisce il porsi al servizio della comunità e della società". Ed oggi porsi al servizio della società significa contribuire a risolvere nel modo più giusto il caso Taranto, nel rispetto della dignità della vita umana, nonché a prendere coscienza del particolare momento difficile, sul piano economico, sociale e politico, che il nostro paese sta attraversando, e ad attivarsi perché ogni cittadino partecipi attivamente alla vita politica, senza più attendere che qualche personaggio carismatico ci salvi dal baratro, cercando invece di individuare persone capaci ed oneste che nella vita di ogni giorno interpretano il loro dovere di cittadini, senza clamori, al servizio della comunità.
Spero che a tal fine tutti nel MEIC si ripropongano lo stesso impegno posto in essere nell'immediato dopoguerra dai loro predecessori, i quali furono determinanti nel dare un assetto democratico al paese, attraverso l'attiva partecipazione alla stesura della Carta Costituzionale, secondo i dettati del Codice di Camaldoli, ed al governo della cosa pubblica. Basterà rileggere gli atti dei convegni nazionali MEIC svoltisi nei primi anni del dopoguerra per rilevare su quali temi vertessero le relazioni tenute dai soci che poi sono divenuti uomini di governo di alto sentire, oppure rileggere gli articoli di Coscienza di allora.
Ritengo che i soci del MEIC di oggi debbano proporsi il dovere di essere determinanti nella vita del paese come quelli di allora. Non basta gloriarsi per avere aggiornato il Codice di Camaldoli per poi tenerlo custodito in biblioteca. Spero perciò che quanto proposto nell'ultimo progetto MEIC, presentato nel corso dell'ultimo Consiglio nazionale, sul Concilio venga puntualmente attuato per riproporre a tutti i soci la necessità di vivere la storia, sapendo interpretare i "segni dei tempi" per avere la capacità di individuare soluzioni adatte a tutelare il ‘bene comune'.
In caso contrario, personalmente correrei il rischio di non ritenere più necessaria ed essenziale per me l'appartenenza ad un movimento che non mi aiuti ad essere più membro attivo di una Chiesa che sia veramente Popolo di Dio e di uno stato considerato una comunità di persone.
Grato per l'attenzione che vorrete porre a quanto ho scritto, vi saluto con la cordialità di sempre

Pierino Lacorte