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INCONTRO AL RISORTO "Questi è il Figlio mio, ascoltatelo!"

28 Febbraio 2015

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In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli. Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù. Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati.
Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l'amato: ascoltatelo!». E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro. Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell'uomo fosse risorto dai morti. Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti.

(Mc 9,2-10)

Tanto è accecante la luce del Vangelo odierno, da farci quasi dimenticare le ombre desertiche della pagina di domenica scorsa sulle tentazioni di Cristo. La collocazione del brano sulla "trasfigurazione" nel periodo quaresimale è finalizzata ad aprire uno squarcio nell'identità di colui del quale tra non molto si racconteranno i dolori, l'umiliazione della più oscura delle notti, preludio della rivelazione pasquale.

La narrazione si ispira alle teofanie antiche (Es 24,12-17). In entrambi gli avvenimenti troviamo il monte e la nube, simboli della manifestazione divina. Dio è troppo "in alto" per essere visto, tanto in alto che "appare nella nube", cioè si rivela senza eliminare le ombre. La differenza fondamentale dei due episodi sta però nella centralità cristologica. Sul Sinai Dio parla "a" Mosè, ora invece si rivolge all'umanità, facendosi interprete dell'identità del Cristo: egli è il Figlio mio, l'amato, ascoltatelo! Occorrerebbe pesare le parole una per una, tanto appaiono sorprendenti.

Elia e Mosè sono il passato profetico che conversa "con" Gesù. La speranza è compiuta: dopo tanti discorsi su Dio e al posto di Dio, in alcuni casi persino credendosi dèi, viene la Parola che scaturisce dall'amore e che si fa carne. Il Padre stesso dice cosa fare, qual è l'atteggiamento giusto, attraverso un grido che è quasi una supplica: Ascoltatelo! Chi ascolta il Verbo si dispone a diventare lui stesso un piccolo verbo, perché noi siamo ciò o colui che ascoltiamo; chi ascolta entra inoltre in quell'Amore silenzioso ed eterno da cui è scaturita questa Parola.

Fu trasfigurato, metemorphôthê. La metamorfosi cristologica è anche un messaggio antropologico: egli infatti «trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso» (Fil 3,21). L'intera vicenda umana è metamorfica. Ci sono uomini cacciati in basso, come Gregor Samsa, l'antieroe kafkiano, che retrocede nella sua dignità, fino a diventare simbolo dei rigettati. Inseguiamo una metamorfosi "verso l'alto" e, significativamente, il verbo al passivo (fu trasfigurato) ci dice che essa è un dono "dall'alto".

Il solo Marco porta la pittoresca precisazione che gli abiti di Gesù divennero splendenti, tanto che nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. C'è sporcizia in noi e intorno a noi, e anche troppa stanchezza per comprendere il senso vivificante di questa simbologia. Abbiamo bisogno della bellezza che splende sul volto di Cristo, l'unico lavandaio in grado di farci indossare i vestiti della luce. I tre apostoli sono storditi, ma hanno compreso il senso di tanta bellezza: Rabbì, è bello per noi essere qui. Cominciano a sognare la felicità e vorrebbero persino costruire tre comode capanne per restare lassù il più a lungo possibile.

Invece, improvvisamente, tutto scompare. Il modo aspro con cui Marco cala il sipario su questa scena che ci ha un po' frastornati, vuol dirci ancora qualcosa. È giunto il momento di scendere dal monte. Non si può restar lì per sempre e farci la casa. Avendo ancora nelle orecchie l'eco della voce Ascoltatelo, che invita alla pratica, ora occorre scendere e incontrare la storia. Non siamo soli, il maestro scende con loro, tornando insieme alla quotidianità.

DON GIOVANNI TANGORRA