Menu principale
In evidenza
BANNER 5X1000
banner facebook
Banner Giovani
Newsletter
Area riservata
News
PrintE-mail

Cittą metropolitane, una malformazione genetica

04 Marzo 2016

Immagine

di RODOLFO CARELLI *

Un maestro della mia giovinezza, Emmanuel Mounier, ci invitava ad andare oltre gli effetti e a risalire alle cause profonde a partire dal "disordine stabilito" e regnante come quello stabilito per legge.

Di questa dimensione del problema di Roma e delle città metropolitane non c'è traccia finora nelle piattaforme programmatiche per le prossime amministrative.

Il disordine primo da rimuovere è quello contenuto nella legge elettorale vigente per le città e le regioni metropolitane. La crescita di una nuova classe dirigente dal basso richiede che siano ricostituite le radici col territorio ed un rapporto permanente e più ravvicinato tra eletti ed elettori, rapporto in grado di ridurre drasticamente le spese elettorali e bilanciare con la conoscenza diretta personale l'impiego delle risorse personali o di gruppo. Non è certo un caso che a livello nazionale si sia ricorso a collegi piccoli come quelli spagnoli che ristabiliscono il tessuto connettivo tra eletti ed elettori, andato perduto con l'introduzione dei nominati scelti dalle oligarchie dei partiti e non più espressione dell'elettorato, causa determinante in periodi difficili come i nostri per favorire forze antisistema e populismi di ogni tipo.

Ebbene nelle città metropolitane, non solo Roma, bisogna ricostituire l'ascensore politico, come favorire l'osmosi di classe dirigente dal basso verso l'alto. L'improvvisata transizione verso la città metropolitana ripropone i vecchi inconvenienti stabiliti per legge e perciò da rimuovere. Con ben altra ponderazione la precedente legge istitutiva delle città metropolitane, facendosi carico della integrazione tra Roma ed i comuni della Provincia, prevedeva che la legge elettorale, assorbendo la provincia, per favorire la possibilità di essere rappresentativa di ogni parte del suo territorio, adottasse i collegi  mutuati dalla precedente legge elettorale provinciale. Se la nuova classe dirigente matura a livello delle circoscrizioni, auspicando un passaggio graduale alle municipalità, ebbene, per favorirne la crescita sia nell'ambito metropolitano che regionale occorre introdurre i collegi uninominali dell'ampiezza corrispondente alla media degli abitanti nelle circoscrizioni. Verrebbe eliminato il muro del passaggio mediamente dai 300.00 abitanti delle circoscrizioni ai 3 o 4.000.000 della città metropolitana di Roma, passaggio impervio che costringe a ricorrere agli apparati dei partiti con i loro costi esorbitanti e/o ai poteri economici costituiti legali e non.

Il secondo punto prioritario è di rimuovere la condizione di subalternità da cittadini di serie B degli abitanti nei rimanenti comuni della provincia. Lo spirito originario ed innovativo delle città metropolitane era consentire una pianificazione che aggredisse in primo luogo la persistente tentazione dell'espansione a macchia d'olio dei vecchi capoluoghi. Non a caso per Roma era porre fine allo scempio del territorio con l'ampliamento a macchia d'olio, in specie di quella cintura di verde, che connota Roma, da preservare ed esaltare al fine di un più alto livello di vita specie sotto la pressione crescente dei flussi migratori, fenomeno comune a tutte le metropoli. In particolare l'abbattimento della barriera elettorale sopra richiamata può favorire la partecipazione di quel vasto movimento di volontariato cattolico e laico che può concretamente innervare nelle Istituzioni lo spirito solidale che lo ispira contro.

Pertanto è da considerarsi prioritaria l'introduzione di un sistema elettorale (quello già previsto dell'uninominale proporzionale con premio di maggioranza) che integri su di un piano di pari dignità e di rappresentanza tutti i cittadini compresi nelle città metropolitane favorendo la crescita delle attuali circoscrizioni in municipalità dello stesso rango degli altri comuni compresi nella città metropolitana a seguito dell'assorbimento delle Province. Appare di assoluta evidenza che analogo processo avvenga nelle regioni metropolitane specie dopo la dissennata abolizione delle province col rischio enorme che gli unici interlocutori siano tra loro i capoluoghi con l'ulteriore desertificazione della parte più fragile dei comuni piccoli e medi non in grado di esercitare le deleghe e di frenare il crescente accentramento regionale già in atto, la riproduzione per quante sono le Regioni del vecchio e tanto vituperato centralismo statale, che peraltro ha ripreso a crescere. Ribadisco l'errore grossolano dell'abolizione delle Province in favore dell'oggetto misterioso delle aree vaste per il fatto che costituisce una remora alla crescita dal basso di nuova classe dirigente formata dalla graduale crescita dei livelli di responsabilità quali quelli sanciti nella carta costituzionale. E' un po' come saltassimo a piè pari la scuola media inferiore, anello di congiunzione tra le elementari e le superiori.

* socio del MEIC di Latina, già parlamentare e consigliere regionale