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Trinità: un "amore appassionato"

27 Giugno 2011

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Omelia al Consiglio nazionale Meic

di don Cataldo Zuccaro

19/06/2011 - SS. Trinità

La Trinità è la vita di un Dio che non vive solitario, ma in comunione. La relazione tra il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo definisce l'identità di ciascuna Persona. La vita di ogni persona è completamente definita e compresa sulla base della relazione che essa ha con le altre persone. Come dire, togli la relazione e scompare la persona divina, perché questa è tutta lì: nella relazione. Non c'è nessun frammento di esistenza che possa appartenere come proprio ed esclusivo ad ogni persona della Trinità, oltre naturalmente il fatto che essa è in relazione con le altre.

Si tratta di uno dei misteri centrali della nostra fede e pertanto non potremo mai capirlo fino in fondo. Però l'analogia umana può aiutarci. Pensiamo alla nostra esperienza e, in particolare, in quell'esperienza così intima e affettivamente coinvolgente come quella coniugale o meglio ancora genitoriale. Per quanto grande sia il nostro amore, tuttavia nemmeno qui possiamo dire che tutta la vita di un marito si definisca in base alla relazione con la moglie e viceversa. Esiste qualcosa nell'esperienza di ciascuno degli sposi che eccede, che va oltre la relazione di amore che li lega. Così anche per un papà e una mamma. Per quanto grande sia l'amore per il figlio e per quanto esso definisca la loro personalità e la loro affettività, tuttavia non è così totalizzante da catturarne tutti gli aspetti e togliere autonomia ed interesse a qualcosa di ulteriore. Il segna più drammatico di questo andare oltre della vita di un coniuge nei confronti dell'altro è quando uno dei due muore e l'altro continua a vivere. Ancor più drammatica è la situazione di quando un genitore sopravvive al figlio.

La Trinità non sopravvivrebbe se venisse meno la relazione. È una bestemmia pensare Dio al di fuori della relazione di amore. Pensare che possa esistere in ciascuna Persona divina qualcosa di specifico in più della relazione.

Il tutto è detto intermini molto semplici e belli dal Vangelo di oggi «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio, unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna». Si tratta del linguaggio sempre nuovo e pure antico dell'amore. Di un amore che è dono. Ma sembrerebbe contraddittorio: che razza di amore un Dio Padre che lascia morire il Figlio al posto suo?

Possiamo tentare di capirlo con quanto abbiamo detto e, anche qui, con l'analogia umana. Già altre volte vi ho parlato della «vendetta trasversale». Non per cattiveria, ma per amore il Padre ci ha dato qualcuno che aveva di più caro della sua stessa vita. Non si è accontentato di darsi lui, ma ci ha dato il Figlio. E poi, se Dio è relazione, come non pensare alla partecipazione del Padre e dello Spirito alla sofferenza e alla morte di Gesù?

"L'amore appassionato di Dio per il suo popolo -per l'uomo- è nello stesso tempo un amore che perdona. Esso è talmente grande da rivolgere Dio contro se stesso, il suo amore contro la sua giustizia. Il cristiano vede, in questo, già profilarsi velatamente il mistero della Croce: Dio ama tanto l'uomo che, facendosi uomo Egli stesso, lo segue fin nella morte e in questo modo riconcilia giustizia e amore [...]  Nella sua morte in croce si compie quel volgersi di Dio contro se stesso nel quale Egli si dona per rialzare l'uomo e salvarlo" (Benedetto XVI, Lettera Enciclica Deus caritas est, 25.XII.2005, 10 e 12: il corsivo è mio)

Nella morte di Gesù si realizza la profezia di Gesù come Emmanuele, che significa Dio con noi. Sì, ma un Dio che per restare con noi si è privato di Dio è rimasto senza di lui, almeno nell'esperienza dell'abisso metafisico del silenzio del Padre che non fa udire la sua voce al grido straziante del Figlio: Perché mi hai abbandonato? È come se anche lo Spirito Santo, secondo la riflessione di alcuni teologi ortodossi, avesse sospeso la sua potenza divina per rendere possibile la morte di Gesù, altrimenti impossibile.

Che dire davanti all'amore del Padre, del Figlio dello Spirito Santo? Innanzitutto adorare, ringraziare, commuoversi ... Poi, forse, ma molto poi, provare a capire che la Trinità è la casa, la famiglia, il paese, la chiesa, l'umanità dove nessuno si fa i fatti propri, ma ciascuno si fa in quattro -forse sarebbe meglio dire in tre- per gli altri, perché prende su di sé ciò che l'altro ha nel cuore. Devo scegliere dove cercare l'identità più intima di me stesso: nel farmi i fatti miei, oppure ...?