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Bambini, il primo diritto è l'uguaglianza

20 Novembre 2017

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Intervista a Filomena Albano
Garante nazionale per l'infanzia e l'adolescenza

(pubblicata su Coscienza n.2/2017: LEGGI QUI IL NUMERO INTEGRALE)

"Faccio appello alla coscienza di tutti, istituzioni e famiglie, affinché i bambini siano sempre protetti e il loro benessere venga tutelato, perché non cadano mai in forme di schiavitù e in  maltrattamenti. Auspico che la comunità internazionale possa vigilare sulla loro vita, garantendo ad ogni bambino e bambina il diritto alla scuola e all'educazione, perché la loro crescita sia serena e guardino con fiducia al futuro". Sono parole di papa Francesco, pronunciate in occasione della Giornata mondiale dei diritti dell'infanzia e dell'adolescenza dello scorso anno. In molti, sicuramente, hanno pensato che il pontefice si riferisse alla situazione del cosiddetto "Terzo mondo". E invece quell'appello vale anche noi. Basta correre i numeri impietosi dell'ultimo Atlante dell'infanzia a rischio pubblicato da Treccani a cura di Save the Children: in Italia un minore su 3 è a rischio di povertà ed esclusione sociale (3 milioni e mezzo di ragazzi, secondo Eurostat), i figli di 4 famiglie povere su 10 soffrono il freddo d'inverno perché vivono in case non riscaldate o umide,  mentre 1 ragazzino su dieci abita in luoghi non abbastanza luminosi. I ragazzi con problemi economici vanno meno a scuola e abbandono più spesso gli studi, fanno meno sport e si ammalano di più. E in Europa solo Romania e Grecia spendono meno di noi per contrastare l'esclusione sociale dei più piccoli.

«L'Italia? No, non è ancora un Paese a misura di bambino e di ragazzo. Proprio no». Lo dice chiaro e tondo anche Filomena Albano. D'altra parte sa benissimo quello di cui sta parlando: magistrato del Tribunale di Roma, per sei anni rappresentante del Ministero della Giustizia alla Commissione adozioni internazionali, dal marzo 2016 è la Garante per l'infanzia e l'adolescenza. Un osservatorio importante, il suo, per comprendere a che punto siamo con la tutela dei diritti dei più piccoli.

Cos'è che ci manca, dottoressa Albano?

Per prima cosa mancano sempre più bambini: e questo dipende dal forte calo demografico. E poi mancano politiche adeguate per l'infanzia e l'adolescenza. Una faccenda complicata, perché in questo settore le competenze sono spezzettate tra tanti ministeri e tra tante amministrazioni: istruzione, salute, lavoro e politiche sociali, interno e immigrazione, cultura. In più ci sono tante competenze frammentate in verticale, perché oltre allo stato ci sono le regioni e gli enti territoriali ed è difficile coordinare l'intervento di tutti questi soggetti. Questo comporta che anche l'investimento in risorse economiche e le azioni conseguenti non siano coordinati, con duplicazioni o inefficienze. Infine, manca l'attenzione: perché noi abbiamo ratificato la Convenzione Onu sui diritti dell'infanzia nel 1991 ma non abbiamo ancora sviluppato, ad esempio, politiche in materia di ascolto dei bambini e dei ragazzi. Un altro segnale di disinteresse.

Eppure il protagonismo dei ragazzi è al centro della Convenzione Onu: secondo lei nella società esiste una consapevoli dei diritti dei ragazzi? I ragazzi stessi ne sono più consapevoli o lo sono di meno?

La Convenzione l'abbiamo ratificata nel lontano 1991 e la convenzione prevede appunto che i ragazzi siano soggetti autonomi, titolari autonomi di diritti. È stato un passaggio culturale e giuridico importante, proprio perché si è passati dall'idea del minore come oggetto della protezione degli adulti, a quella di soggetto autonomo in quanto titolare di diritti. Ed è questa la ragione per la quale la Convenzione prevede che bisogna diffondere la conoscenza dei diritti fra gli stessi ragazzi. Oggi sicuramente c'è una maggiore consapevolezza da parte dei ragazzi dei propri diritti, perché se ne parla. Però alla maggiore consapevolezza non si accompagna un'altrettanta maggiore conoscenza, e questo lo sto constatando quotidianamente, nei tanti colloqui con i bambini e ragazzi nelle scuole. Un po' tutti sanno citare il diritto all'istruzione o alla salute, ma quasi nessuno parla del diritto ad avere una famiglia, o del diritto all'uguaglianza.

L'uguaglianza sembra un diritto solo sulla carta, visto che le disuguaglianze sono l'emergenza sociale di oggi. Tutti gli indicatori concordano sul fatto che i minori siano una delle fasce più a rischio, e che la povertà minorile sia sempre di più una vera ipoteca sul futuro del Paese.

L'ultima relazione dell'Autorità garante al Parlamento si intitola proprio "La sfida dell'uguaglianza": è davvero la questione più urgente. C'è un'incidenza di povertà soprattutto nelle famiglie numerose, con tre e più figli, un dato di gran lunga maggiore rispetto al passato. Per i bambini  e ragazzi essere poveri non significa solo non avere un tetto dove dormire o cibo adeguato da mangiare, ma anche non avere le stesse opportunità educative dei loro coetanei. E questo si traduce in un pregiudizio concreto sulla prospettiva di sviluppo come persone adulte. La povertà minorile va sradicata perché è dimostrato che la povertà si eredita. E per invertire il circolo vizioso della povertà il  Paese deve investire sul sistema integrato di educazione e istruzione dei primissimi anni, deve rafforzare la rete dei servizi sul territorio, proprio perché solo in questa maniera si riesce a contrastare non solo la povertà economica ma anche quella educativa. Dobbiamo dare ai ragazzi di famiglie marginali le stesse opportunità dei coetanei che vivono in famiglie più agiate. Le potenzialità dei bambini e dei ragazzi che non vengono coltivate rappresentano uno spreco enorme, uno dei peggiori.

Quindi la povertà materiale si combatte azzerando la dispersione scolastica?

Si comincia da lì, e anche da prima ancora, dalla primissima infanzia: penso, e lo dico da meridionale, al numero irrisorio degli asili nido al Sud. Investire già nel ciclo di educazione 0-6 è importante. E poi ci vuole la mensa a tempo pieno in tutti gli istituti scolastici, e bisogna sostenere le famiglie fragili perché la dispersione scolastica riguarda sia segmenti di fragilità anche minoritaria, come nel caso delle etnie rom, sia situazioni di fragilità economica consistente. Queste famiglie vanno integrate fin dai primissimi anni di età dei propri figli.

Le famiglie fragili sono anche quelle dalle quali spesso i figli vengono allontanati. Lei ha fatto parte della Commissione adozioni internazionali e come magistrato ha avuto spesso a che fare con il tema dell'affido e dell'adozione. Stiamo facendo abbastanza in termini di prevenzione dell'allontanamento e di deistituzionalizzazione dell'affido?

Gli allontanamenti dalla famiglia naturale devono essere evitati il più possibile, tant'è che rappresentano anche per il nostro legislatore l'extrema ratio. A dire il vero i numeri degli allontanamenti dei minori in Italia non sono elevatissimi, se comparati ai numeri degli altri paesi europei, il che può rappresentare da un lato un segnale positivo, nel senso che c'è meno necessità di intervenire, e dall'altro un segnale negativo se questo significa che i servizi sociali non riescono a coprire tutte le situazioni e non si avvedono di situazioni di fragilità che invece necessitano di un intervento. Quindi siamo ancora lì: la questione è rafforzare la rete dei servizi territoriali, perché sono i servizi territoriali che dovrebbero prevenire gli allontanamenti, mentre molto spesso noi interveniamo sul fronte della cura e non sul fronte della prevenzione, e lavorare sul fronte della cura è sempre complesso, perché significa intervenire quando già il bambino o il ragazzo sono ormai già collocati in una comunità residenziale. In questo un ruolo fondamentale ce l'hanno i Tribunale per i minorenni e le loro Procure, che oggi una proposta di legge in discussione al Senato vorrebbe eliminare. Sarebbe un grave errore, Perché rappresentano un avamposto a tutela delle situazioni di fragilità dei bambini e dei ragazzi.

Servirebbero anche più famiglie affidatarie.

Come Autorità garante sul tema dell'affido familiare abbiamo istituiti due tavoli: il primo si occupa delle reti dell'affido, per individuare un modello di rete a livello nazionale, regionale e territoriale che coinvolga dal basso anche i Garanti regionali, perché i servizi dell'affido fanno capo agli enti territoriali. La rete è necessaria perché non si può incentivare l'affido se poi manca chi lo sostiene sul territorio: si rischia un effetto boomerang con le persone che, pur disponibili all'affido, restano da sole. E invece i soggetti pubblici e l'associazionismo familiare devono dare una mano. E poi stiamo lavorando al monitoraggio del primo anno di applicazione della legge 173 del 2015, che riconosce il diritto alla continuità dei rapporti affettivi dei minori in affido familiare (la norma favorisce le famiglie affidatarie in caso di adozione del minore affidato e tutela davanti alla legge il rapporto affettivo instaurato col il bambino o il ragazzo accolto in casa, ndr)

Un'altra emergenza delicatissima di questi mesi è quella dei minori stranieri non accompagnati, i tanti, giovanissimi profughi che stanno sbarcando nel nostro Paese senza un adulto al loro fianco. C'è da poco una nuova legge a tutelarli, la legge Zampa. Qual è la situazione?

L'approvazione della legge Zampa è stata un risultato davvero positivo per che abbiamo incentivato anche noi. Nell'ultimo anno abbiamo monitorato il funzionamento dell'istituto della tutela, cioè abbiamo tentato di capire come funziona la tutela dei 17mila minori non accompagnati presenti in Italia . Abbiamo inviato un questionario a tutti gli uffici giudiziari e abbiamo scoperto che il tutore è generalmente un soggetto pubblico, che ha in carico tantissimi minori e generalmente senza che la sua attività venga monitorata. E poi abbiamo effettuato molte visite nei centri di accoglienza in tutta Italia per ascoltare quello che pensano i ragazzi nelle comunità in cui vivono. Ho incontrato tanti ragazzi che hanno raccontato la loro esperienza, e soprattutto quello che si aspettano dal nostro Paese: la possibilità di studiare, di lavorare, di costruirsi un futuro in Italia. Qualche volta ho incontrato ragazzi chiusi e arrabbiati, oppure apatici e indifferenti. Di certo non possiamo lasciarli soli. La nuova legge assegna al Garante nazionale e ai Garanti regionali la competenza specifica sulla selezione e sulla formazione dei tutori, abbiamo già pubblicato sia le linee guida nazionali che i bandi e presto partiremo anche con una campagna con cui invitiamo i cittadini, a dare la loro disponibilità per questo servizio volontario.

Quali sono i requisiti richiesti?

Secondo le nostre linee guida i tutori devono avere almeno 25 anni, non devono avere precedenti penali, e preferibilmente devo avere già maturato un'esperienza nel volontariato. Ci siamo preoccupati di definire anche i contenuti dei moduli formativi che preparino queste persone a rivestire la funzione di genitore sociale di questi ragazzi, che continueranno a vivere nelle comunità di accoglienza ma che hanno bisogno di essere accompagnati dopo essere arrivati qui con alle spalle un vissuto complesso e un percorso di migrazione a volte molto doloroso.

(Simone Esposito)