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Nel nome di Giovanni

23 Maggio 2017

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DI LUIGI D'ANDREA
vicepresidente nazionale del Meic

Ci sono date che si iscrivono con inchiostro indelebile nella storia di una comunità: a tale ristretto novero, con riferimento alla parabola della Repubblica italiana, certamente appartiene il 23 maggio 1992, giorno nel quale sull'autostrada A29, che collega Palermo e Trapani, nei pressi dello svincolo di Capaci, la terrificante potenza distruttiva espressa da circa 400 kg di esplosivo tolse la vita al magistrato Giovanni Falcone, a sua moglie Francesca Morvillo, ai tre agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro e ferì altre 23 persone (tra cui altri quattro agenti di polizia). E ben si comprende come, da allora, in tale data hanno luogo in tutto il territorio nazionale iniziative che ne fanno feconda memoria ed occasione di riflessione sul valore della legalità.

In questo attentato di marca autenticamente terroristica (nonché nella barbara strage di via D'Amelio, che uccise Paolo Borsellino e la sua scorta in una rapida e micidiale sequenza criminale) può forse ravvisarsi la massima esibizione di potenza criminale dell'organizzazione mafiosa, non casualmente situata in un complesso tornante dell'evoluzione storica del nostro Paese, sul crinale tra la prima e la seconda Repubblica; ma, sia pure al doloroso (ed in un certo senso insopportabile) prezzo della morte di valorosi servitori della cosa pubblica, esso ha rappresentato altresì l'irresistibile avvio di una genuina riscossa civile, tanto nella Sicilia quanto nel resto del Paese, ed ha segnato l'apertura di un nuovo orizzonte di riscatto morale e di impegno civile e politico, grazie alla sinergica risposta delle pubbliche istituzioni e di associazioni, comitati, movimenti giovanili, competenti educatori, appassionati testimoni. Naturalmente, la battaglia contro la malavita organizzata e contro le molteplici forme di illegalità e di corruzione della vita pubblica, contro le quali con tanta forza si è in tante occasioni espresso il magistero di Papa Francesco, non è certo vinta; ma essa deve essere combattuta con strenuo impegno, tanto sul terreno propriamente politico-istituzionale quanto sul piano sociale e culturale. Naturalmente, e fortunatamente, è assai raro che una simile battaglia comporti il sacrificio estremo della vita; ma essa non può in alcun modo essere neppure combattuta senza un rigoroso ed esigente impegno personale e collettivo.