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Regionali, non solo presidenti: l'importanza del voto ai consiglieri

18 Settembre 2020

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di MARIO SERAFIN

Le elezioni di domenica 20 e lunedì 21 settembre si svolgono cinquant'anni dopo l'istituzione delle Regioni ordinarie, chiaramente divenute molto diverse da quelle delle origini, quando, in particolare nel Veneto, si diedero uno statuto che impostava la fisionomia e il funzionamento del nuovo Ente sulla collaborazione dei suoi tre organi: il Consiglio, la Giunta e il suo Presidente.

Viviamo in un altro Veneto, cambiato sotto tanti punti di vista, economici, sociali, politici, e in un'altra Regione, incentrata sulla figura del Presidente, impropriamente chiamato governatore.
La vita della Regione è condizionata dall'elezione diretta del Presidente, la caduta o l'uscita del quale comporta la caduta dell'intero Consiglio: è in atto una seconda Regione, piuttosto diversa dalla prima, nella quale presidente e assessori erano anzitutto consiglieri eletti nei territori provinciali. Si è consolidato un processo d'indebolimento del Consiglio regionale.

Ricordiamo quanto ci osservava Marino Cortese, socio e amico del Meic, mancato lo scorso 27 aprile, protagonista, con il primo presidente Angelo Tomelleri, della fondazione della Regione Veneto, come consigliere, presidente della commissione per lo statuto, in Giunta vice presidente e assessore al bilancio e alla programmazione. Il 13 ottobre 2012, ad un convegno dei nostri gruppi del Triveneto tenutosi alla Scuola dei Lanieri a Venezia, su "Veneto e Nord Est tra passato e futuro", espose una relazione ricca di acute e puntuali osservazioni su "la Regione del Veneto nell'evoluzione della società e del territorio". Ripercorse l'esperienza regionale negli anni, vedendovi un "netto peggioramento del suo funzionamento democratico nella esautorazione del Consiglio regionale come conseguenza dell'elezione diretta del Presidente della Giunta". Disse che "va contrastata la deriva che concepisce le assemblee elettive come intralci al fare". Tale giudizio appare ancora più fondato dalla possibilità, per il presidente eletto direttamente dai cittadini, di comporre la Giunta con la chiamata di assessori esterni, non eletti prima nel Consiglio.

Questa realtà, che favorisce la forza dell'uomo al comando e dell'esecutivo rispetto alla rappresentanza democratica e alle voci dei territori, indica l'importanza, per elettrici ed elettori, di uno sforzo di attenzione per individuare, e votare nella scheda del voto regionale, un uomo e una donna preparati, capaci di visione e di proposta nell'ampio arco delle funzioni regionali. Ciò anche perché alle "ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia" di cui la Regione persegue l'attribuzione si diano contenuti e obiettivi ben pensati, efficacemente confrontati e discussi in un consiglio a cui il presidente sia indotto a prestare adeguata attenzione e presenza.
Chiaramente, nel voto per la Regione, come in quello sul referendum sulla riduzione di deputati e senatori, è in gioco la qualità della nostra democrazia, che deve tenere insieme le ragioni della rappresentanza con le ragioni della governabilità.