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MEIC LUCCA Antropologie religiose a confronto: l'uomo nell'Islam

04 Maggio 2011

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di RAFFAELE SAVIGNI


Prosegue il ciclo di incontri organizzato dal MEIC di Lucca sul dialogo tra le religioni. Il 31 marzo il prof. Amos Bertolacci, docente all'Università di Pisa e noto studioso di filosofia araba medievale, ha tenuto una relazione incentrata sul problema del rapporto uomo-Dio nell'Islam. Sul piano metodologico egli ha sottolineato la necessità di distinguere le varie tendenze culturali presenti sin dalle origini all'interno del mondo islamico, e di individuare somiglianze e differenze rispetto al cristianesimo, evitando il duplice rischio di omologare o demonizzare una cultura diversa dalla nostra, ma in qualche modo ad essa complementare, e con la quale siamo chiamati a dialogare. Ad esempio nell'Islam fatica ad emergere il concetto di persona, sviluppato dalla tradizione cristiana, ma è presente una visione più positiva della natura umana, in quanto manca l'idea di peccato originale, che nel pensiero cristiano è stata talora eccessivamente enfatizzata, traducendosi nel passato in una visione fortemente pessimistica dell'uomo in quanto peccatore. A questo proposito è stata ricordata, nella discussione, la critica (sviluppata da C. Taylor, L'età secolare, Milano 2009) dell'interpretazione radicalmente pessimistica fondata sull'esegesi agostiniana di Rm 5,12.
Sul piano antropologico si possono individuare nell'Islam dei primi secoli (VII-XII) tre modelli: 1) il modello coranico-religioso, fondato sul principio della sottomissione dell'uomo a Dio, sul primato della comunità religiosa rispetto al singolo e sull'osservanza rigorosa di determinate norme alimentari e di comportamento sociale; 2) il modello mistico-sufi, incentrato sulla progressiva assimilazione per gradi dell'uomo a Dio (e paragonabile per certi aspetti alla mistica di Giovanni della Croce), ma guardato con sospetto dall'ortodossia religiosa; 3) il modello filosofico-razionale, fondato sulla rielaborazione dell'eredità platonico-aristotelica e culminante in un razionalismo universalista che tende a enucleare, al di là delle differenze tra le religioni, contenuti razionali universalmente validi (per cui in definitiva la filosofia appare come la vera religione). Va sottolineato il ruolo svolto da alcuni filosofi arabi come mediatori del pensiero greco nell'Occidente medievale: non è possibile comprendere la filosofia e la teologia scolastica di Alberto Magno e di Tommaso senza tener conto dell'influenza esercitata su di essi da al-Kindī o Averroè. È difficile non condividere un'affermazione come questa, che ci esorta a valorizzare i germi di verità presenti in culture religiose diverse: "Non dobbiamo vergognarci di trovare bello il vero e di far nostro il vero da qualunque parte esso provenga, anche se viene da razze lontane dalla nostra e da popoli diversi" (al-Kindī). Appare stimolante anche l'invito di al-Fārābī ad "una comune religione", declinata in termini razionalmente condivisibili, che tenga uniti i cittadini al di là delle differenze religiose; così come il tentativo di Averroè di legittimare sulla base della stessa legge coranica l'indagine razionale.
Se il primo dei tre modelli sopra citati, attualmente prevalente, tende a tradursi in atteggiamenti fondamentalisti, ed il secondo appare oggi piuttosto marginale, è dal recupero della tradizione filosofico-razionale dei primi secoli dell'Islam che può maturare un progressivo superamento del fondamentalismo religioso, mediante un'interpretazione allegorica di certi passi del Corano ed un'applicazione ad esso di quei metodi di analisi storico-critica che da qualche decennio vengono abitualmente utilizzati nell'esegesi delle Scritture ebraiche e cristiane. Se i movimenti politici emersi negli ultimi mesi in diversi Paesi musulmani ci fanno sperare in un progressivo sviluppo della democrazia, la ripresa di una riflessione razionale potrà far emergere quella distinzione tra sfera laica e sfera religiosa che è rimasta sinora nell'ombra, e che costituisce una delle condizioni per costruire una società aperta e democratica.
Per uno sviluppo del dialogo cristiano-islamico è opportuno che il fondamentalismo non venga considerato dai cristiani come l'unica forma possibile di Islam, e che si favorisca il recupero, da parte degli intellettuali islamici, degli aspetti più positivi del patrimonio culturale dei primi secoli, al di là del wahabismo e di movimenti intolleranti la cui fortuna è dovuta in larga misura a fattori di ordine politico.
L'incontro si è concluso con un ampio e vivace dibattito, che ha evidenziato il forte interesse per l'argomento ed il desiderio di conoscere meglio un mondo col quale veniamo sempre più a contatto. Un interrogativo tra gli altri: col mondo islamico è possibile un vero e proprio dialogo teologico, fondato sul comune richiamo ad Abramo, o è realisticamente praticabile soltanto un pur rilevante dialogo interculturale su temi come i diritti umani e la pace?
Il prossimo incontro, che si terrà il 6 maggio alle 21 presso la Casa delle associazioni laicali, sarà dedicato ad una riflessione sull'antropologia delle religioni orientali, guidata dalla prof.ssa Arianna Antongiovanni, docente di Religione cattolica e studiosa di teologia.