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#DISTANTIMAUNITI Il contributo del Meic di Milano alla consultazione diocesana sulla Fase 2

06 Maggio 2020

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L'Arcidiocesi di Milano ha avviato una consultazione tra i fedeli, le comunità e le associazioni per raccogliere idee e buone pratiche utili a preparare e ad affrontare la Fase 2 dell'emergenza sanitaria, nel momento in cui questa fase di transizione coinvolgerà anche le istituzioni ecclesiastiche.

La consultazione riguarda diversi ambiti ecclesiali: non solo la possibilità di riprendere la celebrazione di tutti i sacramenti ma anche la riapertura degli oratori ed il riavvio delle altre attività pastorali e delle attività caritative.

Nell'ambito della presidenza del Circolo Guardini, il gruppo Meic di Milano, considerato anche il dibattito di questi giorni riguardo all'opportunità di tornare a celebrare comunitariamente nelle prossime settimane, abbiamo voluto partecipare alla consultazione con questo documento, che condividiamo.

Alessia Miranti, presidente del gruppo Meic di Milano


La pandemia e le misure messe in campo dal Governo costituiscono per la Chiesa una prova.

È certamente una prova l’assenza della celebrazione comunitaria della liturgia, un’esperienza di mancanza di pienezza – per la vita cristiana la celebrazione dell’assemblea riunita non è infatti un elemento succedaneo e rinunciarvi è “costoso” –, e se in questa “Fase 2” ancora non sarà possibile tornare a celebrare comunitariamente, per non mettere a rischio quanto ottenuto faticosamente negli ultimi mesi, anche noi ci auguriamo che presto si presentino le condizioni di sicurezza per farlo.

Ma questa prova, in modo simile a tutte le esperienze di prova raccontate nel Primo e nel Nuovo Testamento, insieme alla durezza della condizione vissuta, mette in luce le fragilità e le forze della nostra fede, da un punto di vista sia personale sia ecclesiale.

La prima fragilità è in ordine alla nostra consapevolezza circa la fede. Le regole per arginare la pandemia hanno ridotto moltissimo l’interstizio tra opere e fede, liturgia e spiritualità, prassi e dottrina, mostrando, ancor più chiaramente che in passato, con quale stile (teologico, liturgico, pratico) la nostra Chiesa e le nostre comunità vivessero il cristianesimo: essendo di molto limitate le prassi usuali, le scelte fatte hanno ben manifestato quali fossero i nuclei su cui abbiamo principalmente poggiato le nostre precedenti scelte pastorali.

I primi segni sono costituiti dagli estremi, entrambi “ideologici”, di un massimalismo e di un minimalismo teologico-liturgico. Da un lato, quindi, chi in nome della verità della fede cristiana voleva ribellarsi alle norme del vivere civile e auspicava una ripresa immediata delle prassi abituali: una fede che desiderava – in una sorta di ordalia – una verifica immediata della propria verità. Dall’altro, chi vedeva nella dismissione temporanea delle prassi abituali l’avvio di una purificazione da elementi puramente esteriori di cui liberarsi definitivamente.

Questi due estremi costituiscono forse la manifestazione di una medesima forma di “disperazione”: disperare che il cristianesimo possa essere incarnato in qualsiasi condizione della vita umana, che possa essere vissuto pienamente anche in tempo di pandemia.

Il tentativo di rifugiarsi in teologie “oggettivanti” così come in spiritualismi razionalistici e disincarnati sono forme di questa disperazione. La rinuncia a puntare esplicitamente su una forma domestica di liturgia, certamente non antagonista alla pienezza dell’assemblea liturgica, ma pur sempre fondata sulla presenza del Cristo “laddove due o tre sono riuniti nel suo nome” (cfr. Mt 18,20), è manifestazione di questa disperazione.

Nel passato la Chiesa ha sempre trovato modi di vivibilità del cristianesimo in condizioni diverse e difficili: i monaci anacoreti, per esempio, non celebravano ogni giorno e probabilmente neanche ogni domenica l’eucaristia, ma in relazione alla loro condizione quando potevano riunirsi o unirsi ad altri.

Ma anche nel presente abbiamo esempi molto chiari di questa grande capacità di vivibilità del cristianesimo: le Chiese come quella amazzonica, in cui le celebrazioni eucaristiche vengono celebrate quando il presbitero riesce a raggiungere le comunità locali.

Il “Circolo Romano Guardini – Meic di Milano e dell’Università Cattolica” ha cercato nel piccolo della sua realtà di intraprendere questa via: ha scelto pertanto di non optare per celebrazioni eucaristiche “a distanza”, ma, seguendo il proprio stile, ha proposto momenti di lectio divina in diretta streaming, alternando momenti di riflessione comuni in diretta a momenti di meditazione personale e preghiera liturgica domestica (liturgia delle Ore) offline.

Pertanto, anche sulla scorta della nostra piccola esperienza, crediamo che ciò che dobbiamo ricercare in questa fase sia una via media, che renda il cristianesimo vivibile anche nella situazione in cui ci troviamo, certi che il ristianesimo sia vivibile in ogni condizione.

Alessia Miranti, Girolamo Pugliesi, don Luigi Galli
(Presidenza del “Circolo Romano Guardini” - Meic di Milano)