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Che resterebbe della Chiesa senza le donne?

17 Novembre 2017

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di DON GIOVANNI TANGORRA

La scelta di Papa Francesco di chiamare due donne, le professoresse Gabriella Gambino e Linfa Ghisoni, laiche e madri, come sottosegretarie del Dicastero per i laici, la famiglia e la vita, ha riacceso i riflettori  sul ruolo delle donne nella Chiesa. Un dibattito molto ravvivato già da mesi: almeno da quando, in risposta alla domanda di una religiosa, durante l’udienza del 12 maggio 2016 all’Unione internazionale delle superiori generali, papa Francesco si è detto favorevole alla possibilità del diaconato per le donne, annunciando «una commissione che chiarisca bene questo, soprattutto riguardo ai primi tempi della Chiesa». Il proposito è stato attuato nell’agosto successivo, con l’istituzione di una commissione composta di dodici membri, metà uomini e metà donne. 

Gli addetti sanno che l’argomento non è una novità. Su di esso esiste già una vasta letteratura, storica e teologica, che lo considera all’interno di una questione più generale: il posto della donna nei ministeri ecclesiali.

Di fatto il quadro ministeriale odierno, riformulato da Paolo VI col motu proprio Ministeria quaedam (15 agosto 1972), non ha spazi femminili, giacché riserva agli uomini anche l’istituzione del Lettore e dell’Accolito. Montini non escludeva la possibilità di creare nuovi ministeri: di qui l’ideazione di un “ministero straordinario della comunione”, istituito dalla Congregazione per i sacramenti, con l’Istruzione del 29 gennaio 1973, Immensae caritatis. Allo stato attuale è l’unico ministero concesso alle donne e la sua novità dà l’impressione di un provvedimento-tampone per ricoprire un vuoto.

Nel Nuovo Testamento si hanno due testi: Paolo che parla di «Febe, nostra sorella, al servizio (he diakonos) della Chiesa di Cencre» (Rom 16,1), e 1Tm 3,11 che dà una serie di raccomandazioni ai diaconi, includendo anche le donne. Visto l’ampio uso del termine “diacono”, che significa “servo”, non è facile capire cosa i due testi vogliano dire veramente.

Le testimonianze si fanno più chiare dal III secolo, soprattutto nella Siria orientale e a Costantinopoli. Documenti autorevoli, come le Costituzioni apostoliche (opera canonico-liturgica del IV secolo), parlano esplicitamente di diaconisse o diacone: entravano nel loro ufficio con una ordinazione simile a quella dei diaconi maschi, attraverso il rito dell’imposizione delle mani (cheirotonia), ed erano considerate immagini (femminili) dello Spirito Santo.

Erano dedite all’istruzione delle catecumene e all’assistenza delle donne nella celebrazione del battesimo, perché agli uomini (per ovvi motivi) non era consentito spogliarle o ungerle (allora l’unzione e il lavacro si facevano con tutto il corpo). Non svolgevano funzioni sacerdotali, tuttavia il loro incarico aveva un carattere ufficiale ed erano considerate appartenenti al clero, termine che si estendeva a tutti quelli che svolgevano un ministero liturgico. Davano inoltre la comunione alle ammalate, ed erano attive nel campo della carità, ufficio principale di un diacono, a imitazione di Cristo che lavò i piedi ai suoi discepoli. Celebre fu Olimpia, diaconessa di Costantinopoli, che san Giovanni Crisostomo ricopre di elogi per le sue imprese a favore dei poveri.

In Occidente il diaconato femminile fu un fenomeno sporadico, in pratica sconosciuto. Diaconisse erano chiamate le mogli dei diaconi o le badesse. Quando il battesimo dei bambini sostituì quello degli adulti, la loro funzione cominciò a scemare, fino a scomparire del tutto anche in Oriente. Sarà ripreso solo dalle comunità anglicane e protestanti, nel XIX secolo.

In conclusione, tre cose si possono dire con certezza: 1) che un diaconato femminile è veramente esistito, almeno in alcuni luoghi della Chiesa; 2) che le donne erano ordinate allo stesso modo dei colleghi maschi, anche se non svolgevano un ministero equivalente; 3) che la sua esistenza deriva dalle necessità pastorali del tempo.

Lasciamo quindi che la commissione istituita dal papa faccia il suo lavoro e chiarisca i punti rimasti oscuri, anche se un lavoro simile è già stato compiuto dalla “Commissione teologica internazionale”, in un documento di notevole importanza, approvato dall’allora prefetto della Congregazione per la dottrina della fede Joseph Ratzinger, il 30 settembre 2002.

Questo significa che ormai spetta all’autorità competente prendere una decisione, magari creando qualcosa di nuovo. Il diaconato femminile è sorto da una necessità pastorale, è quindi legittimo chiedersi se i bisogni odierni riguardo all’evangelizzazione non siano ugualmente sufficienti per prendere quella decisione. Servirà inoltre a qualificare la presenza della donna nella Chiesa, colmando un ritardo culturale ormai improponibile e inescusabile. Tra le ragioni contrarie ci sono: il rischio di favorire ulteriormente la clericalizzazione dei laici o la strumentalizzazione in vista del sacerdozio femminile che è tutt’altra cosa a livello teologico.

Personalmente credo che i pareri favorevoli siano più importanti. E che inoltre sia necessario: riformulare lo stesso diaconato così da farlo uscire da una funzione meramente cultuale, dove ciò che impressiona è il vestito indossato; dare ufficialità a ciò che già avviene, ad esempio trovo incongruo che ministeri come il lettorato e l’accolitato siano ancora riservati ai maschi mentre, di fatto, sono le donne a esercitarli; attuare compiti di cura pastorale delle parrocchie affidate a laiche e suore, mettendo in atto ciò che il Codice già consente al canone 517,2; procedere in modo graduale, autorizzando le conferenze episcopali che ne avvertono la necessità e si sono attrezzate.

Sarebbe comunque ben poca cosa pensare che la riforma sul ruolo della donna nella Chiesa passi solo attraverso la via liturgico-clericale. La loro profezia non significherà privarsi del genere, ma piuttosto valorizzarlo e potenziarlo, per liberare la Chiesa dalla sterilità maschile. Alle donne la storia della Chiesa deve molto, in tutti i campi dell’evangelizzazione: sono state educatrici, catechiste, teologhe, hanno fondato monasteri, conventi, istituzioni caritative. Per capirlo basta un po’ di immaginazione: cosa sarebbero oggi le nostre chiese se le donne smettessero di colpo di frequentarle?