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En Marche, ma per dove?

15 Maggio 2017

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di VITO D'AMBROSIO
vicepresidente nazionale del Meic

Passata la grande paura, in parte artificialmente gonfiata (nessuno sano di mente avrebbe davvero scommesso un euro sulla vittoria di Marine Le Pen nel ballottaggio per dell'elezione del presidente della Francia), la rotta futura del grande Paese, nostro confinante e cofondatore dell'Unione Europea, non é per niente chiara.

Macron ha vinto, per merito suo e demerito dei partiti tradizionali, nonché per la tempestività dello scandalo Penelope Fillon, che ha azzoppato il suo più probabile e meglio piazzato concorrente. Ma noi non sappiamo dove il nuovo capitano intenda dirigere la sua nave, e, soprattutto, con quale equipaggio.

L'Europa, per esempio, è diventata il mantra della campagna elettorale del giovanissimo inquilino dell'Eliseo, ma non è affatto chiaro di quale Europa sia stato suonato l'inno che ha accompagnato la marcia solitaria di Macron nel cortile del Louvre la sera della sua vittoria. Lasciando da parte le stantie polemiche sull'Europa della banche e della burocrazia (stantie ma non infondate) ci piacerebbe sapere di quali idee e strategie il neo-presidente sarà portatore nell'incontro prossimo con la cancelliera Merkel, incontro prodromico, assai probabilmente, ad una riedizione dell'asse franco-tedesco che ha fin qui guidato e diretto il cammino dell'Unione verso l'attuale insoddisfacente situazione. In altre parole, la domanda è questa: come Macron intende riprendere, contestualizzati, i valori che hanno ispirato i padri fondatori dell'Unione europea?

Non abbiamo capito - lo confessiamo - quale modello di società si possa ricavare dalle vaghe dichiarazioni di Macron nei suoi discorsi postelettorali. Se, cioè, per esempio, la Loi Travail (il Jobs Act in salsa francese, come è stato detto) sarà modificata nei suoi tratti più sbilanciati verso una sola delle due parti del rapporto di lavoro. E ancora più generica è la direzione verso la quale En Marche vorrà impostare la sua azione sulla questione delle migrazioni, visto il successo molto scarso delle politiche seguite fin qui in materia di integrazione, la rabbia nelle banlieue dei discendenti di seconda o addirittura terza generazione di immigrati, la posizione di chiusura perfino arrogante alla frontiera di Ventimiglia.

Nessuno ancora sa se e come verrà declinata la politica della grandeur che ha sempre connotato la strategia internazionale della Francia e, per esempio, come potrebbe essere favorita la nascita di una forza militare europea, e più in generale di istituzioni equilibratamente sovranazionali, auspicabili sempre, ma particolarmente necessari in questo momento molto critico sia per i rapporti con gli Stati Uniti di Trump, sia per le conseguenze sempre meno reversibili della globalizzazione.

Non è facile prevedere a quali accordi sarà disponibile Macron in vista delle elezioni legislative di giugno per costruire una "sua" maggioranza parlamentare, senza la quale i grandi poteri attribuitigli dalla Costituzione francese saranno inevitabilmente limitati.

E, senza alcuna posizione preconcetta, sarà molto interessante seguire il cammino del neo-presidente per emanciparsi da un possibile peso eccessivo degli ambienti dai quali proviene.

Queste le domande alle quali attendiamo che Macron risponda con la concretezza dei fatti e non con l'astrazione delle parole. Che, poi, sono in buona parte le stesse domande che intendiamo porre nel corso di questa nostra infinita campagna elettorale italiana e ai tanti nostri rappresentanti che stanno prendendo la rincorsa per saltare sul carro del vincitore francese del 7 maggio.

Ci interessa poco il gioco della caccia agli eventuali Macron italiani: ci interessa molto di più sapere e capire verso quali traguardi e in quali direzioni vorranno procedere per - innanzitutto - attuare completamente quella Costituzione che non si è riusciti a cambiare ma che resta, tuttavia, ancora da concretizzare in parti non trascurabili. Per poi magari dare vita ad una Europa en marche, unita e convinta, verso il modello ideale e la tensione morale e politica che sessant'anni fa furono le fondamenta dei Trattati di Roma.