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Una politica che non guarda in faccia il Paese

18 Febbraio 2017

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di BEPPE ELIA

I più vecchi di noi ricordano che, alla fine degli anni '60, il tentativo di avviare dei colloqui di pace per far cessare la guerra nel Vietnam si arenò intorno ad una questione surreale, e cioè quale forma dovesse avere  il tavolo di discussione, perché qualcuno obiettò che un normale tavolo rettangolare avrebbe posto tutte e 4 le parti in guerra sullo stesso piano, e a lui questo non andava bene.

Mi è venuta in mente quella lontana vicenda in questi giorni assistendo al dibattito, tutto interno al Partito Democratico, sulla data del Congresso e delle primarie, e sulla conseguente possibile rottura fra la componente vicina al Segretario e la sinistra del partito. E ho avuto la sgradevole sensazione che si mettessero in gioco, insieme a legittimi convincimenti, anche rapporti personali deteriorati, posizionamenti furbeschi in attesa delle prossime elezioni, e un armamentario di affermazioni perentorie che lasciano sconcertati anche i più generosi sostenitori di questo partito.

Ma è possibile che questi dirigenti politici non vedano lo sconcerto che stanno seminando nella loro base, in quel popolo che ha dedicato tempo, energie, voglia di costruire un soggetto politico unitario, e che oggi lo vede distruggere da un gruppo di dirigenti inguaribilmente autoreferenziali?

Avremmo sperato in un dibattito anche serrato dentro il partito, dopo i cattivi risultati elettorali di questo anno, per ridefinire obiettivi e strategie. Invece tutto si sta consumando in un dissidio di cui non si capiscono le ragioni; o forse ben più banalmente, e amaramente, tutto si concentra intorno alla ricerca del potere per la propria parte, a danno di quella avversa. E allora non ci domanda più che cosa è meglio per il Paese, ma quello che è meglio per sé e per il piccolo mondo cui si appartiene.

Ho ancora la speranza che le voci ragionevoli e consapevoli, oggi sommerse da altre voci ben più tonanti, tornino  ad essere ascoltate. Abbiamo bisogno di politici che guardino in faccia il Paese e che, con umiltà e coraggio, riprendano il filo ingarbugliato delle riforme. Ma a questo Paese, che il Congresso del PD sia giugno, a settembre o a dicembre davvero poco importa.