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Trump e quegli "uomini forti" di cui non abbiamo bisogno

02 Febbraio 2017

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di BEPPE ELIA

Da qualche settimana una delle domande che più frequentemente mi vengono poste è "Cosa pensi di Trump?".

Io, che sono generalmente portato a ponderare le risposte, in altri tempi avrei forse detto:  "Attendiamo di vedere cosa succede fra qualche mese, perché non sempre i primi passi di un qualunque presidente vanno nello stesso verso in cui egli si dirigerà nel suo cammino successivo". In questo caso sono invece molto più netto nel criticare parole e azioni di Trump (che sta dimostrando una ferrea coerenza con i programmi enunciati nel dibattito elettorale), perché sento una forte preoccupazione per una lacerazione, che non riguarda solamente la società americana, ma che rischia di contagiare anche i nostri Paesi, così fortemente attratti da proposte politiche difensivistiche e nazionalistiche. Trump è l'uomo dalle decisioni nette, che risolve la complessità delle questioni, interne ed esterne, con ricette elementari e bruciando al suo passaggio  anche faticose conquiste sociali e di uguaglianza.

Molti, anche dalle nostre parti, sentono il fascino di questa personalità, delusi ed arrabbiati verso una classe politica che giudicano quanto meno  inconcludente, se non addirittura corrotta.  La Francia sembra dirigersi, anche per i gravi errori dei politici socialisti e del centrodestra, verso il successo di Marine Le Pen, e non sappiamo, se questa previsione si avvererà, quanto profonde saranno le conseguenze non solo sull'azione politica dell'Unione europea, ma sugli equilibri dei Paesi del nostro continente.

L'Italia non se la passa meglio, anche perché in questi anni non siamo stati capaci di superare la crisi i cui effetti (povertà, mancanza di lavoro, sfiducia dei giovani, timori per il futuro...) riguardano una parte molto cospicua dei nostri concittadini. E non stupisce quindi che l'80% di essi, secondo i dati di un recente sondaggio, confidi nell'arrivo di un "uomo forte" per dare risposte adeguate alla gravità dei problemi.

Eppure sappiamo, anche leggendo la nostra storia, che noi potremo farcela, non affidandoci a qualche uomo o donna della Provvidenza, ma rigenerando (in forme anche inedite) il tessuto sociale e i modelli della partecipazione. Ci sono, nei nostri territori, esperienze che dovremmo di più valorizzare, ma anche diviene sempre più urgente rimettere insieme idee e proposte, che guardino con attenzione a chi vive situazioni di difficoltà e alle fragilità del Paese. E in questa prospettiva anche il Meic deve fare la sua parte, umilmente ma senza perdere tempo.