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#DISTANTIMAUNITI Vivere il tempo presente come monito e come opportunitą

17 Aprile 2020

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di STEFANO PIGNATARO
Meic Salerno

"Chi dice che egli è dura cosa l'aspettare, dice il vero". E' massima di Nicolò Macchiavelli e dimostra quanto mai attuale per la connotazione psicologica ed identitaria del nostro tempo. Da sempre l'attesa, il fermarsi è stata concepita come un'origine di ogni sorta di male, scoraggiamento e privazione, una sorta di buco nero in cui le nostre paura e le nostre concezioni negative prendessero forma e sostanza. In un mondo globale e civilizzato alla massima potenza, in cui ognuno di noi cerca e ricerca in maniera spasmodica il proprio spazio e la propria affermazione, stona e comprime un periodo come quello presentatoci brutalmente e senza alcun preavviso che alla frenesia ha imposto il silenzio e la quiete.

L'attuale pandemia da Covid-19, oltre a sconvolgerci per l'elevato numero di contagiati e per l'impressionante scia di mortalità con la quale sta mostrando la sua faccia più temibile, una faccia per molto, troppo tempo tenuta celata o scambiata per una troppo stranamente benevola, ha drammaticamente svelato elementi caratteriali, esistenziali e psicologici del carattere, della personalità, della professionalità e, non per ultimo, della spiritualità di ciascuno di noi.

Senza alcun tipo di dubbio, l'attuale pandemia ha violentemente ridisegnato le abitudini esistenziali ed il modus vivendi di ciascuno; di ciò ne abbiamo preso consapevolezza come uomini e donne, come professionisti, come genitori, come amici e nella nostra vita affettiva. Il contatto umano, limitato prima, azzerato in seguito, ha creato conseguenzialmente in noi un nuovo modo di relazionarsi che ha comportato due conseguenze; da un lato vi è l'indubbia mancanza di un contatto affettivo, dall'altro ci ha resi consapevoli delle nostre mancanze e delle nostre disattenzioni ogni qual volta che eravamo i primi a sottovalutare esso come una ricchezza e come sentimento di vicinanza, amore e attenzione. La presa di coscienza della preziosità di un qualcosa che si possiede avviene inevitabilmente quando essa improvvisamente viene a mancare; la caducità dell'inesorabile e la precarietà ci verte a seguire, dunque, la volontà di coltivare rapporti autentici.

La quarantena forzata causata dall'improvviso e rapidissimo contagio, molto spesso anche letale di questo virus che,  silenzioso e subdolo, democraticamente insidia tutti e si manifesta per alcuni con tratti lievi, ad altri con sintomi spaventosi e purtroppo fatali, mette a dura prova il nostro equilibrio psichico causa l'ingente mole di notizie catastrofiche che giungono ad ogni ora, senza interruzione alcuna, grazie ai nostri media. Per certi versi, si è giunti alla macabra quanto cinica reazione di un rilassamento collettivo quando si apprende che una determinata morte sia giunta per differenti cause ma non esse meno tragiche. Tutto questo porta ad un elevato grado di solitudine che, in un certo verso, simboleggia allo stesso tempo, l'elemento positivo e negativo per la sopravvivenza in queste circostanze, anche per la nostra cita spirituale da cattolici impegnati.  Una solitudine spettrale ed opprimenti può essere lenita dalla solitudine intesa, pirandellianamente, come uno "stare in compagnia con noi stessi", opportunità esistenziale oggi del tutto rara se non impossibile. Come uomini di Fede, non possiamo nascondere un senso di smarrimento e di tristezza per l'annullamento delle tradizioni pasquali a noi care. Per noi giovani, il percorso della Quaresima è, come tutti i momenti solenni dell'anno, un periodo ineguagliabile di crescita spirituale, morale e spirituale. Il suggerimento che in questo preciso momento storico ci siamo dati e ci siamo, in senso buono, imposti è considerarci "totalmente Suoi" nella preghiera e nella sua volontà. L'occasione, come ci ricorda Papa Francesco, di un ritorno all'essenziale, un ritorno alla spiritualità più pura e ad una conversazione con il Signore, troppe volte soffocata dagli impegni quotidiani che rischiano di ridurre la preghiera e la meditazione come un qualcosa di meccanico o peggio di obbligatorio, ecco che diviene l'unica autentica consolazione al baratro.  Torna in mente l'immagine di Gesù che, dopo la Resurrezione, appare agli apostoli con le parole" Pace a voi". Il primo dono che Gesù porta agli apostoli ancora smarriti per l'atroce accaduto è la pace, la pace Sua e del prossimo. L'uomo che vive in pace, che non smarrisce la pace in tempesta (come ha ricordato Papa Francesco nel suo toccante momento di preghiera all'umanità) è un uomo salvo. L'uomo toccato dalla pace di Cristo diviene egli stesso un testimone di pace e di serenità. Contestualmente al momento difficile che stiamo vivendo e che vivremo ancora per molto tempo, il testimone di pace è colui che non si lascia prendere dallo sconforto e non si rinchiude, egoisticamente nel proprio orticello in cui conta esclusivamente la sua salute mentale e fisica. Al contrario, questi giorni sono propizi per non perder alcun contatto, per lavorare ancor più alacremente di prima, per riprendere situazioni incomplete o progetti mai del tutto realizzati, soprattutto per dimostrare il nostro "si" a quella" Chiesa in uscita", concreta all'attenzione dei poveri e dei bisognosi tanto cara al Santo Padre Francesco. Il confronto, quello autentico, non soltanto tracciato sulle fredde righe di un cellulare o dietro la freddezza di uno schermo, deve essere elemento primario per mettersi in gioco.

Si potrebbe paragonare l'attuale pandemia ad una gigantesca pioggia, un temporale improvviso che coglie l'uomo di sorpresa sprovvisto di ombrello; nella foga di ripararsi ognuno come può, vi è chi lo fa con stile preoccupandosi di non recare fastidio all'altro e chi disordinatamente ignora il vivere civile e si mette al riparo; la funzione educativa, in questo, gioca un servizio essenziale, dalla famiglia ai luoghi di formazione ai quali spetta l'arduo compito di trasmettere il sapere anche in condizioni disagiate senza lasciare nessuno indietro. Il ruolo della "funzione educativa" in senso letterale abbraccia i più disparati aspetti, dal limitare i propri impulsi di protagonismo (quante volte abbiamo diffuso notizie tragiche ignorando se esse avessero potuto turbare sensibilità altrui già provate?) al non sgretolare speranze.  il giornalista Beppe Severgnini,  ospite giorni fa della trasmissione "Otto e Mezzo" condotta da Lilli Gruber, ha messo in evidenza come "un sorriso possa essere, in questi casi, più utile di numeri e statistiche". Il termine simpatia in greco vuol dire "condividere il pathos; se alla politica chiamata ad una presa di coscienza ponderata ed a risoluzioni caute, desistendo da differenziazioni ideologiche e partitiche, l'empatia che si richiede al cristiano di avere è proprio quella capace di sostenere la Croce del fratello smarrito e solo.

L'attuale emergenza sanitaria, inoltre, chiama ad una precisa e determinante prova di serietà l'universo giovanile. Se hanno giustamente profondamente indignato le immagini diffuse da molteplici canali televisivi di diffusione nazionali che riprendevano gruppi cospicui di giovani ammassati in bar e locali di aggregazioni non curanti dell'emergenza e che, alla domanda se fosse giusto questo comportamento irresponsabile , davano risposta con toni ricchi di boria trincerandosi dietro l'automatica serenità del "siamo giovani, è una malattia fatale solo per le persone anziane"(1), allo stesso modo sono da ammirare molti giovani che in questo periodo di prova e di tribolazione non hanno rinunciato alla preghiera, all'atto di carità ed alla misericordia con l'ausilio di associazioni di volontariato, aggregazioni laicali , spirituali e politiche. Due facce di un'Italia per certi versi ancora malata e pura.

Come insegna la laboriosa formica di Jean de la Fontaine, occorre approfittare di questo tempo per far provviste materiali per il corpo e per l'animo. Solo così avremmo saputo cogliere da questo tempo una giovevole etica.

(1) La cultura della morte è sempre stata vista come un tabù per i giovani. Sin da bambini, un'educazione fortemente protettiva ed allo stesso tempo permissiva, ha portato che un adolescente cresca con qualcosa di oscuro, legato indissolubilmente ad un fine vita in tardissima età. In altre parole, quando si è giovani la morte non esiste e si cresce con questa sorta di epicureo principio. Tragici fatti che la vita ci mette inevitabilmente davanti fanno sì che nei casi più gravi si incorra in una forte depressione e, nel caso di un'educazione cristiana, si cresca con un'incompleta quanto superficiale visione della morte stessa che risulta, invece, centrale nel tema della dottrina con il dogma della Resurrezione. Occorrerebbe una sorta di "esorcizzazione" del tema della morte sin dalla tenera età affinchè si possa imparare a convivere per sconfiggere al meglio paure e timori ed allo stesso tempo coltivare un senso di responsabilità e di prudenza che può soltanto giovare ad un'esistenza serena.