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"Sobrietà vo cercando": il numero estivo di Coscienza

10 Agosto 2011

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E' uscito il numero 4/2011 di Coscienza dal titolo "Sobrietà vo cercando". ll giornale è aperto dal consueto editoriale del direttore Renato Balduzzi, dedicato proprio al tema della copertina. Balduzzi annota come la società odierna, specie sul fronte mediatico, usi e spesso abusi frequentemente del termine "sobrietà", contribuendo a uno scarto tra la parola e il suo significato reale. "E' molto più facile - afferma il direttore - ricordare l’esigenza di sobrietà ad altri, predicarla (giustamente predicarla) alla casta politica e alle altre caste, piuttosto che praticarla nella propria vita personale. Senza scomodare altre concezioni del mondo, noi credenti abbiamo qualche dovere di responsabilità in più su questo terreno" (per leggere l'editoriale clicca qui).
Coscienza ospita anche molti altri interessanti contributi: tra questi, la seconda parte dello scritto di Augusto Sabatini sulla riforma della giustizia, un articolo di Maurilio Guasco sul ruolo dei cattolici nell'Unità d'Italia, una riflessione su patristica ed evangelizzazione giuntoci da Caterina Borrello.
In più, la rivista propone l'ultimo scritto del compianto don Antonino Minissale, un testo sulla speranza cristiana nelle lettere petrine che il sacerdote amico del Meic ha consegnato in redazione pochi giorni prima della sua improvvisa scomparsa. Questi e altri contributi sono già scaricabili dal sito in formato pdf.
In aggiunta, è interamente scaricabile (qui) il numero allegato di InformaMEIC, con l'editoriale del presidente Cirotto, una riflessione che ci arriva dal Meic di Milano e il programma, il regolamento e le note tecniche relative all'Assemblea nazionale di ottobre.

CLICCA QUI PER VISUALIZZARE L'INDICE DELLA RIVISTA


Sobretà vo cercando...
di Renato Balduzzi

Nella comunicazione pubblica, alcune parole vengono ad avere, tempo per tempo, maggiore evidenza e ricorrenza.
Oggi una di queste è, senza dubbio, "sobrietà".
Da parola impiegata per significare la temperanza nel bere (sobrio nel senso di senza ebbrezza), nel mangiare e, in genere, nei piaceri della vita, essa viene a connotare sempre più un generale atteggiamento di discrezione e moderazione (sobrio nel senso di sano di mente e di moderato). Sembra anzi che la storia stessa della parola legittimi questa complessità semantica.
Così, sentiamo dire e ripetiamo che la politica e i singoli governanti hanno bisogno di sobrietà, che le istituzioni stesse devono darne prova e, sotto altro profilo, che la sobrietà degli stili di vita costituisce una delle condizioni per la stessa sopravvivenza planetaria.
Dunque, da carattere della vita personale, propria o altrui, la sobrietà passa a indicare un elemento determinante della convivenza civile e della struttura della stessa.
A questo slittamento di significato anche noi del Meic siamo stati in qualche misura interessati, se è vero che nel Progetto Camaldoli (lavoro che andrebbe ripreso e ricordato a quanti, ancora in queste settimane, auspicano un nuovo "codice": perché non valorizzare quanto già si è fatto?) ricorre spesso tale parola, sia nella parte sulla salvaguardia ambientale, sia in quella sulla cittadinanza.
Quando certe parole aumentano di frequenza, spesso la causa o la concausa sta nella difficoltà di far corrispondere la parola alla cosa. Mi sembra questo il nostro caso, se è vero che tutta l'organizzazione economico-sociale della vita contemporanea, specialmente in Occidente, appare imperniata sopra criteri alternativi a quelli di sobrietà: nella produzione come nei consumi, nella pubblicità come nella comunicazione mediatica non sono certo la moderazione e la discrezione a campeggiare, quanto piuttosto la tendenza a esagerare, a debordare, a gettare ciò che è "vecchio" anche se funzionante per ciò che è "nuovo" e con qualche prestazione in più. Che cosa c'è di "sobrio", nel senso di temperante e moderato, nelle regole e nella pratica del mondo della finanza? Che cosa c'è di sobrio nella dinamica della vita pubblica, sempre più spazio di spettacolo piuttosto che agorà per il bene comune?
Da questa situazione deriva una conseguenza importante per ciascuno di noi: è molto più facile ricordare l'esigenza di sobrietà ad altri, predicarla (giustamente predicarla) alla casta politica e alle altre caste, piuttosto che praticarla nella propria vita personale.
Senza scomodare altre concezioni del mondo, noi credenti abbiamo qualche dovere di responsabilità in più su questo terreno perché la sobrietà, nella complessità di significato ricordata all'inizio, è strettamente collegata a un atteggiamento considerato dalla tradizione biblica come distintivo dell'esperienza spirituale: la mitezza, caratteristica dell'Onnipotente (secondo il Libro della Sapienza) e requisito perché i credenti possano rendere ragione della speranza che è in loro (secondo la Prima lettera di Pietro, non a caso commentata in questo numero di Coscienza). Di più: la sobrietà è l'atteggiamento interiore che consente di non cadere nell'idolatria che, come un attento esegeta proprio in questi mesi ci ha ricordato, costituisce secondo la tradizione biblica l'alternativa alla fede.
Ecco allora che la circostanza che nella discussione pubblica stia emergendo, forse anche a causa della crisi economica globale, l'attenzione su questa parola non ci dovrebbe lasciare insensibili e anzi potrebbe indurci a ricercare compagni di viaggio per una più forte cultura della sobrietà capace di diventare progetto politico ed economico. Non sarebbe del resto la prima volta, nella storia italiana, che mondi dalle provenienze diverse e spesso divaricate si possano incontrare attorno all'esigenza di uno stile di vita personale e collettivo che sia temperante e moderato: negli anni Settanta, a chi, con parole che oggi suonano come profetiche, ricordava che la stagione dei diritti e delle libertà si sarebbe rivelata effimera ove non fosse sorta una rinnovata consapevolezza dei doveri, si affiancava chi, da sponde diverse se non opposte, richiamava alla necessità di un'austerità al tempo stesso principio di politica economica e di orientamento della vita individuale.
In questa prospettiva, e proprio grazie alla forza evocativa della parola sobrietà, la teoria dei doveri (i quali, lo ricordo incidentalmente, costituiscono, anche alla luce della Costituzione italiana, l'indispensabile complemento dei diritti sociali, per la cui fruizione è sempre necessario postulare un dovere in capo a qualcuno, sia esso soggetto privato o pubblico potere) riemerge dall'ingiustificata sottovalutazione cui l'hanno condotta gli esiti dei sistemi autoritari o semi-autoritari che hanno assorbito i diritti nei doveri. La ripresa di una seria teoria e pratica dei doveri potrà consentire alla "stagione" dei diritti di non precipitare nell'inverno dell'autoreferenzialità e dell'assolutizzazione dell'individuo isolato, monade senza porte e senza finestre, abbandonato alle tante evasioni che il progresso tecnologico incessantemente fornisce e pertanto, inevitabilmente, soggiogato dai poteri forti della pubblicità e della propaganda della società mediatica.
Si comprende allora come la sobrietà e le sue conseguenze possano svolgere un ruolo importante nella ricerca di una più serena vita personale e collettiva, lontana dalla tentazione di opporre sobrietà e sviluppo: com'è stato ancora recentemente ricordato da una preziosa voce monastica, non si dà opposizione tra sobrietà e crescita. Provo a dirlo con parole mie: sobrietà e sviluppo non sono antitetiche, ove per sviluppo non si intenda la crescita ininterrotta del solo prodotto interno lordo e dell'accumulo crescente di risorse e capitali, ma il pieno e integrale dispiegamento delle potenzialità dell'essere umano.
Vi sono segnali recenti, anche nel nostro Paese, che vanno in questa direzione. Leggerei così, o almeno anche così, gli esiti del referendum dello scorso giugno su nucleare, acqua e legittimo impedimento (in proposito, si veda l'editoriale del numero precedente di questa rivista): quesiti al cui fondo stava una domanda di sobrietà nell'uso delle risorse e nei comportamenti pubblici e privati. Si tratta di segnali ancora deboli, da irrobustire attraverso i nostri comportamenti e la nostra capacità di proposta culturale e di vita.
Questo deve valere anche per gli strumenti che usiamo.
C'è, infatti, ci deve essere, anche una sobrietà delle riviste culturali.
Molti articoli di questo numero di Coscienza ne costituiscono, almeno nelle intenzioni, già un buon esempio: sono certo che la collaborazione e i suggerimenti dei lettori, che ancora una volta sollecito e che non sono mai mancati, faranno il resto.

(direttore.coscienza@meic.net)