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VIENI SIGNORE GESU'! Pellegrini dell'Avvento

29 Novembre 2015

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Torna la rubrica del nostro assistente nazionale per aiutarci nella riflessione e nella preghiera dei tempi forti dell'anno liturgico. Ecco la sua omelia della prima domenica di Avvento


L'avvento, da advenire, indica l'approssimarsi di qualcosa o qualcuno. Nel calendario cristiano riapre l'anno liturgico, focalizzando l'attesa sulle due venute del Signore: l'avvento dell'incarnazione e l'avvento escatologico. Le Norme generali per l'Ordinamento dell'Anno liturgico confermano questa duplice direzione, e parlano dell'avvento come «tempo di preparazione alla solennità del Natale, in cui si ricorda la prima venuta del Figlio di Dio tra gli uomini, e, contemporaneamente, tempo in cui, attraverso tale ricordo, lo spirito viene guidato all'attesa della seconda venuta di Cristo alla fine dei tempi» (n. 39). La distinzione guida la composizione della preghiere, la scelta delle letture bibliche e dei personaggi dove primeggiano: Isaia, Maria, Giovanni Battista. I testi liturgici che vanno fino al 16 dicembre rievocano la venuta finale, e quelli tra il 17 e il 24 dicembre fanno da novena natalizia, riflettendo vari aspetti dell'incarnazione.

Le origini storiche sono incerte, ma se ne hanno notizie nel IV secolo. Una caratteristica latina è la disparità tra rito romano e rito ambrosiano: nel primo è composto da quattro domeniche, nel secondo da sei, e infatti a Milano si è già alla terza settimana di avvento. Questa diversificazione, avvenuta intorno al VII-VIII secolo, non è solo cronologica, e, nel generale duplice orientamento, vede nel rito ambrosiano una interessante successione tematica delle domeniche. In Oriente l'avvento ha caratteri penitenziali che lo rendono simile alla quaresima: è la comunità che si prepara con l'astinenza e il digiuno all'alba dell'incontro. Ve ne sono tracce nella nostra liturgia violacea e senza gloria, e nella tradizione della vigilia natalizia senza carne. I latini hanno però privilegiato il sentimento della gioia, e infatti la terza domenica di avvento è chiamata Gaudete. Tempo di gioia è l'attesa stessa: «Rallegratevi, il Signore è vicino» (Fil 4,4-5).

«Celebrare l'avvento significa saper attendere, e l'attendere è un'arte che, il nostro tempo impaziente, ha dimenticato. Il nostro tempo vorrebbe cogliere il frutto appena il germoglio è piantato; così, gli occhi avidi, sono ingannati in continuazione, perché il frutto, all'apparenza così bello, al suo interno è ancora aspro, e, mani impietose, gettano via, ciò che le ha deluse. Chi non conosce l'aspra beatitudine dell'attesa, che è mancanza di ciò che si spera, non sperimenterà mai, nella sua interezza, la benedizione dell'adempimento» (Dietrich Bonhoeffer).

Tre temi teologico-esistenziali di questo periodo sono: il "Dio che viene", la speranza, la condizione pellegrinante. Il "Dio che viene" è sinonimo del Dio della storia, dell'alleanza e della promessa. Egli viene a «giudicare la terra» (Sal 98,9), per vedere se i popoli camminano sulla via della giustizia, e «viene per salvarvi» (Is 35,4). Le tracce del suo passaggio non sono perciò i segni della morte, ma la scia di vita che lascia dietro di sé. Quando Dio si eclissa prevale l'ingiustizia, e la speranza si spegne. L'avvento è essenzialmente cristologico: Cristo è il venuto e il veniente. Col suo natale si è fatto abitante della terra (Gv 1,14), e ha condiviso l'umanità piena. Chi crede in lui grida col popolo: «Benedetto colui che viene nel nome del Signore!» (Mt 21,9). Il cristianesimo non è perciò tutta attesa, ma memoria e gratitudine, ma Cristo è anche il veniente: nei giorni che si succedono e nella parusia. Le ultime parole della Bibbia sono: «Vieni, Signore Gesù!» (Ap 22,20).

«L'avvento è il tempo che ci porta a interrogarci, ciascuno nell'intimo della sua coscienza: egli è venuto da me? Io ho notizia di Lui? Vi è confidenza tra Lui e me? Egli è il mio maestro e dottore? Ma poi subito l'ulteriore domanda: la porta è aperta per Lui? E la decisione: la voglio spalancare!» (Romano Guardini).

L'altro tema cui ci educa l'avvento è la speranza. Essa fa del cristiano l'uomo dell'attesa, una sentinella che legge i tempi della terra coi «segni nel sole, nella luna e nelle stelle», che scorge i raggi dell'aurora nella notte. In una società in crisi, dove i rumori di guerra e dell'incomprensione si fanno assordanti, non è sempre facile riuscire a cogliere una presenza. E sono molti, oggi, coloro che si aggirano per la terra con la sensazione di trovarsi in una scatola vuota. La preghiera del salmista è accorata: sono come un uomo che non sente, «perché io attendo te, Signore» (Sal 38,16), persino i miei occhi si consumano «nell'attesa, di te Signore» (Sal 69,4). Il vangelo della prima domenica di avvento ci scuote con immagini apocalittiche, che riproducono uno stato confusionale della terra. Tuttavia pronuncia parole di fiducia, che riaccendono la speranza, e che dovremmo applicare a ogni ora della storia: «Risollevatevi, alzate il capo, la vostra liberazione è vicina» (Lc 21,28).

Le cose non vanno sempre nella direzione desiderata. Ma tra l'ottimismo di chi piange dimenticando in fretta, e il pessimismo di chi nutre pensieri di vendetta, la resistenza della speranza recluta uomini che sanno rialzare la testa:

«Padre santo, che mantieni nei secoli le tue promesse,
rialza il capo dell'umanità oppressa da tanti mali
e apri i nostri cuori alla speranza,
perché sappiamo attendere senza turbamento
il ritorno glorioso del Cristo giudice e salvatore»  
(colletta, I domenica di Avvento)

Il pellegrinaggio è una specifica condizione dell'essere Chiesa, communio viatorum. Come per ogni pellegrino, il suo cammino ha un punto di partenza, un tragitto impegnativo, e una meta distante; e come ogni pellegrino essa deve mettere in conto il disagio della strada. Questa condizione, che il concilio chiama indole escatologica della Chiesa, dà spazio alle imperfezioni, ai limiti, alla necessità di riformarsi. Chi è in viaggio verifica sempre se stesso, il bagaglio che si appesantisce, e la tentazione di fermarsi, dimenticando la propria condizione di straniero. Il pellegrinaggio non è una marcia trionfale, ma un'ascesi, è resistenza, è solidarietà con coloro che ci sono accanto. È però un cammino tenace, che non molla la presa, nemmeno quando l'aurora ritarda. Pellegrina dell'avvento, la Chiesa bussa alle porte, per condividere il suo lieto annuncio e il pane del sostentamento. Poi si rialza all'alba e dice "grazie", riprendendo il suo cammino:

«Noi gli erranti, sempre alla ricerca della strada più solitaria, mai iniziamo un giorno là dove ne abbiamo terminato un altro, e ogni levare del sole non ci trova là dove abbiamo ammirato la luce del vespero. Anche quando la terra dorme noi viaggiamo» (Kahlil Gibran).

don Giovanni Tangorra