Menu principale
In evidenza
BANNER 5X1000
banner facebook
Banner Giovani
Newsletter
Area riservata
News
PrintE-mail

Pił autonomia: ma quale?

21 Ottobre 2017

Immagine

di ANDREA MICHIELI

Domani sedici milioni di cittadini italiani saranno chiamati alle urne per il referendum consultivo sull'autonomia. Le due consultazioni che si terranno in Veneto e Lombardia hanno un quesito formalmente semplice: chiedono ai cittadini se desiderano che le rispettive Regioni gestiscano maggiori competenze, con i relativi finanziamenti. Il quesito veneto è generico e chiede se si è favorevoli a "ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia". La domanda che troveranno i lombardi è più dettagliata perché, facendo esplicito riferimento all'art. 116 della Costituzione, aggiunge l'importante precisazione che le competenze su cui le Regioni chiedono autonomia sono teoricamente tutte quelle previste dall'art. 116 e che esse dovranno essere corredate dalle rispettive risorse finanziare.

I due quesiti si inseriscono nel quadro costituzionale italiano, in particolare vogliono conseguire quel "regionalismo differenziato" (ovvero forme di autonomia e di ripartizione delle competenze differenti, a seconda della specificità regionali) che la riforma del Titolo V del 2001 aveva introdotto.

L'iter per richiedere maggiore autonomia è iscritto dal terzo comma dell'art. 116 della Costituzione: la Regione, sentiti gli enti locali, deve attivarsi per trovare un'intesa con il Governo; tale accordo, per diventare legge, è poi sottoposto al voto a maggioranza assoluta delle Camere. Dal dettato costituzionale emerge, in primo luogo, che l' iter di riforma è un processo articolato di trattative e, inoltre, che non prevede necessariamente una consultazione referendaria.

I due referendum sono dunque atti di impulso verso la strada di una maggiore autonomia; essi hanno natura essenzialmente politica poiché il voto non comporterà nessun effetto giuridico immediato. L'esito sperato dai promotori è quello di usare la legittimazione politica, nel caso di vittoria dei sì e di alta affluenza, come leva nella trattativa futura con il governo: un modo dunque per sedersi al tavolo con un peso politico maggiore. L'utilizzo in tal modo della consultazione è un atto pienamente legittimo e, in parte giustificato, dalla fatica ad attuare il regionalismo differenziato dopo la riforma del Titolo V. Il voto di domani dunque si carica di una rilevanza essenzialmente politica in vista delle prossime elezioni nazionale e regionali in Lombardia, su cui ciascuno in coscienza dovrà esprimersi.

Sul piano culturale, viste le diffuse spinte centrifughe a livello europeo, possiamo porci alcune domande: dal punto di vista politico, quale forma di autonomia è richiesta da queste Regioni? Dal punto di vista giuridico - costituzionale, in vista di quale tipo regionalismo?

Le due domande sembrano essere rimaste inevase nel dibattito di questi mesi. Nessun progetto concreto di autonomia che indichi chiaramente quali competenze le Regioni desiderano è stato offerto agli elettori. Il dibattito si è soffermato soprattutto sul cd. "residuo fiscale" (il differenziale tra entrate fiscali di un territorio e risorse a disposizione) che in Lombardia è pari a 54 miliardi e di 15 miliardi in Veneto. È indubbio che questo dato sia molto significativo e che approfondisca differenze territoriali già marcate nella Penisola. D'altro canto sfugge in che modo e per quali competenze le attuali Giunte regionali vorrebbero utilizzare le maggiori entrate.

Dal punto di vista costituzionale i referendum si inseriscono in un quadro disarmonico di riforma delle autonomie che ha visto, solo in questa legislatura, cambiamenti significativi: dalla legge Delrio sull'abolizione delle province, alla riforma costituzionale bocciata che prevedeva un accentramento delle competenze, alle odierne consultazioni che richiedano maggiore autonomia. Un regionalismo che fa fatica a trovare una dimensione unitaria e una stabilità istituzionale di cui l'Italia avrebbe bisogno anche per la costruzione dal basso dell'Unione Europea.

Il punto, in conclusione, allora non è tanto la maggiore autonomia, su cui quasi tutti gli schieramenti si dicono d'accordo, ma quale autonomia: su quali materie, con quali risorse, con quali modalità perequative rispetto agli altri territori, rispetto a quale unità nazionale ed europea. Su questo il quesito tace e le molteplici risposte, al di là del voto di domani, dovranno in ogni caso essere affrontate per un riordino complessivo del sistema delle autonomie locali nel nostro Paese.