di MARINELLA V. SCIUTO

La memoria del 25 aprile è una di quelle a rischio, specie in questi tempi caratterizzati dalla paura, dal dolore per le perdite umane a causa della pandemia, dall'angoscia esistenziale derivata dalla quarantena, dalla privazione della vita ecclesiale ordinaria. Essa potrebbe essere facilmente e ingenuamente accostata al legittimo desiderio di "liberazione" da questa condizione di "oppressione". La storia però ci costringe a fare i conti con il rigore dei fatti e a vigilare sull'uso della comparazione che appiattisce gli eventi e non li distanzia. La parola passa agli storici, a loro tocca costituire l'ermeneutica della Resistenza, un evento che non deve essere imbalsamato nella retorica del monumento, ma presentato in tutta la sua complessità, variegato nelle forme, nelle strutture, nelle esperienze di uomini e donne, appartenenti a tutti i ceti sociali, accumunate però dall'unico fine di liberare l'Italia dai tedeschi occupanti e dai fascisti, già all'indomani dell'8 settembre 1943, si pensi all'eccidio di Cefalonia. Si deve dunque parlare di nazionalità della Resistenza, senza dimenticare che essa sia confluita nella resistenza europea, nel momento in cui non vi è stato solo il contributo ma la partecipazione del sud e dei meridonali di cui il partigianato siciliano, come attestato dagli storici, costituisce la più numerosa rappresentanza meridionale in tutte le regioni in cui si è combattuta la lotta di Liberazione. A questo si deve aggiungere la pagina di studio della Resistenza nel Sud, una resistenza dimenticata. Tante le storie e le memorie da ricostruire: si pensi alla storia valorosa dei gruppi scout di Milano, Monza, Parma, denominati "Aquile randagie", attivi già durante il ventennio fascista, la cui vicenda è stata raccontata in un film uscito nella sale lo scorso anno; alla storia delle donne in Italia: delle settantamila donne che hanno partecipato alla Resistenza, nel ruolo di staffette, di protezione e di cura dei partigiani nascosti, alcune di loro anche nel ruolo di comandanti con armi, solo 19 sono state insignite con la medaglia d'oro al valore per le loro azioni durante la Resistenza; le altre storie, escluse dal Pantheon della Resistenza, attendono ancora di essere riscoperte e studiate.

La Resistenza non è stata solo momento di lotta ma anche di maturazione, quella maturazione che consentì poi di arrivare alla Repubblica, al voto democratico, al voto delle donne, alla Costiuzione. Una maturazione che è passata attraverso il travaglio della "scelta" come emerge dai versi di una bella canzone di Ligabue, "I campi di aprile", dedicata alla memoria del giovane partigiano Luciano Tondelli, morto a meno di ventanni, il 15 aprile 1945 a dieci giorni dalla Liberazione di Milano: "Ma ho fatto una scelta / in libera scelta / non credo ci fosse altra scelta da fare/ scelta migliore".

La Resistenza dunque, "viene da lontano e va lontano", come dichiarò Aldo Moro nel suo discorso pronunciato a Bari il 21 dicembre del 1975, per il trentennale della Resistenza. Con una importante avvertenza valida anche per il presente: "Certo, l'acquisizione della democrazia non è qualche cosa di fermo e di stabile che si possa considerare raggiunta una volta per tutte. Bisogna garantirla e difenderla, approfondendo quei valori di libertà e di giustizia, che sono la grande aspirazione popolare consacrata dalla Resistenza. Il nostro antifascismo non è dunque solo una nobilissima affermazione ideale, ma un indirizzo di vita, un princìpio di comportamento coerenti. Non è solo un dato della coscienza, il risultato di una riflessione storica; ma è componente essenziale della nostra intuizione politica, destinata a stabilire il confine tra ciò che costituisce novità e progresso e ciò che che significa, sul terreno sociale come su quello politico, conservazione e reazione".

Buona Festa della Liberazione!