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Costruire fondamenta di verità. Questo ci chiede Paolo Borsellino

21 Luglio 2020

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di VITO D'AMBROSIO

Anche 28 anni fa il 19 luglio era domenica. Anche questa volta scrivo un mio ricordo il giorno successivo a quello dell'alluvione dei ricordi, quello ufficiale. Paolo era più basso di Giovanni, che pure non era un gigante, ma quanto a sigarette stava pari, una dopo l'altra le accendeva. Che bella la foto dove ridono tutti e due. Ma Paolo non rideva in quel pomeriggio triste, quando mi accompagnò all'aeroporto per tornare a Roma dopo il funerale di Giovanni. Me lo ricordo sempre, appoggiato a una colonna, che si accendeva una sigaretta prima di rispondere a me, che gli raccomandavo il massimo della prudenza, adesso che era diventato lui il bersaglio, dopo la morte di Giovanni.

"Vito, se quelli hanno deciso, non c'è niente che li può fermare". Era il giorno dopo quello del funerale di Falcone, quello dell'appello straziante in chiesa della moglie di Schifani, che piangendo chiedeva a chi le aveva ucciso il marito di pentirsi. Mi sentivo nella testa, mentre scendevo ancora a Palermo (Giovanni, Paolo e tutti i palermitani "scendevano" sempre a Palermo), le voci di quelli che non erano sorpresi, come me. Ce l'aspettavamo. 

Io però non ce la facevo a tornare nella maledetta Palermo di sempre, accorsa in chiesa per i riti di sempre, seguiti da chi piangeva veramente, mischiato a chi se ne fregava. Quel giorno stesso, sentita la notizia nel pomeriggio, decisi che davvero la sigaretta buttata via non ancora finita la mattina sarebbe stata l'ultima, per una specie di fioretto, che qualche volta da bambino avevo fatto. E in effetti dal 19 luglio 1992 non ho mai più fumato. Però avrei voluto che quella domenica 19 luglio fosse stata l'ultimo giorno di ipocrisia, che ci pesava addosso durante la messa funebre. Invece ieri, accanto alle parole asciuttamente addolorate e tuttavia non prive di speranza del nostro Presidente Mattarella, ho letto e sentito giaculatorie senz'anima, tante, a volte perfino "arricchite" da citazioni di frasi autentiche di Paolo. Ma nelle orecchle e nella testa mi suonavano le richieste secche di Fiammetta, la figlia di Paolo, che chiedeva di sapere, dopo la squallida messa in scena del depistaggio postumo, per il quale persone innocenti hanno sofferto anni di carcere. Tutto questo mi tornava alla mente, affilato e lacerante come allora 

Noi non siamo riusciti a raggiungere la verità, nemmeno a sfiorarla, ma possiamo dire, come Pasolini dopo le stragi fasciste, "io so". E proprio perché sappiamo, purtroppo senza prove, vorremmo che riti, celebrazioni e commemorazioni fossero tanto sobrie da passare quasi inosservate e, soprattutto, non ci distogliessero dallo sforzo enorme di costruire fondamenta di verità. Ce lo chiede Paolo, ce lo chiede Giovanni, ce lo chiede Pippo Fava, e Giorgio Ambrosoli, e tutti i tanti seppelliti nelle stragi di cui è intrisa la nostra storia.