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Un Vescovo che guardava negli occhi, sulla soglia tra memoria e speranza

04 Agosto 2020

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di TIZIANO TORRESI

Ieri sera, nella sua casa di Rieti, è morto il vescovo Lorenzo Chiarinelli. Si è conclusa un'esistenza abitata dal mistero di Dio, radicata in una spiritualità intensa ma asciutta, capace di tessere un costante dialogo tra il Vangelo e la cultura. Se ne va un uomo ricolmo di amore per la Chiesa. Un amore umile e semplice, scaturito della fatica, perché consapevole che amare e servire la Chiesa significa combattere ogni giorno la rassegnazione e la delusione; consapevole che né ruga né macchia, né veste consunta né passo incerto, bastano a spegnere il battito del cuore di Dio nel corpo dei suoi figli.

Chi non l'ha conosciuto trova facilmente, altrove, la lista dei numerosi incarichi ecclesiali che Chiarinelli ha ricoperto. Apprende che la Chiesa italiana ha perso uno dei suoi pastori più arguti e laboriosi.

Chi l'ha conosciuto - e l'ha conosciuto in quella singolare famiglia di spiriti sempre giovani che sono la Fuci e il Meic - sa che non c'è più un compagno fedele del cammino. Un altro anello di un'invisibile catena di affetti, di intuizioni, di faticata amicizia tra la fede e l'intelligenza che unisce le generazioni, impastando le biografie con la storia, oggi si spezza. Ma si riannoda, lungo traiettorie ancora inconoscibili, alla schiera di presbiteri, di laici e di laiche per i quali la santità non è stata un'aureola di eroica, solitaria perfezione ma la severa ricerca, fatta insieme, di un mondo più giusto; è stata la quotidiana lotta coi propri limiti, con il proprio egoismo, con la propria autosufficienza, per ricercare il bene - e, se possibile, il meglio - in ogni ambiente di vita. Una santità la cui sola gloria è la consapevolezza che il proprio tempo va amato con il sangue della carità e l'inchiostro della scienza, come scriveva Montini, che il mondo non va condannato o combattuto, accettato in modo acritico o rincorso per le mode che vi prosperano, ma sempre, e sopra ogni cosa, amato e capito con quella carità intellettuale che sa discernere con pazienza i frutti, che tutto spera e tutto perdona.

Quando si scriverà la storia dei movimenti intellettuali dell'Azione cattolica si comprenderà meglio uno dei motivi per i quali è stato possibile, nonostante tanti limiti, nonostante numeri insignificanti, nonostante avversità ed incomprensioni, scrivere alcune tra le pagine più luminose per il laicato colto italiano: la presenza, discreta e vigile, di preti amici dei laici. Come Chiarinelli. Che guidano con l'esempio, prima che con la dottrina. Che credono con la vita, prima che con il catechismo. Che ascoltano con il cuore prima di parlare con le labbra. Se, lungo le rotte burrascose degli anni della contestazione, della diaspora, del terrorismo, un piccolo ma tenace lembo della Chiesa italiana ha tenuto stretta tra le mani la bussola del Concilio senza naufragare in un mare in tempesta è anche perché ha avuto come maestri spirituali e, prima ancora, come compagni di navigazione, preti così. Preti che senza rimpiangere il passato e conservare le ceneri dell'ieri ne hanno custodito la fiammella nell'oggi, additando con mite discrezione il tragitto verso il domani.

Per molti di noi ogni incontro con Lorenzo Chiarinelli si situava esattamente lì, sulla soglia tra la memoria e la speranza: lesto a rammentare episodi e vicende salienti del passato non per conservare le reliquie d'un tempo che non c'è più, ma per rintracciarvi, con un fulmineo guizzo, l'orientamento per il presente, la ragione per proseguire il cammino della fede. Che, proprio così, non invecchia mai. Proprio così diventa tradizione.

C'era qualcosa di ancor più profondo e di essenziale in ogni incontro con lui, che dava a tutto questo il crisma dell'autenticità. Le sue mani, entrambe e a lungo, strette a quelle dell'interlocutore. Gli occhi immersi negli occhi di chi parlava. Quello sguardo vistosamente intelligente - nel suo senso letterale e proprio - e quell'indugiare in un abbraccio profumato di cristiana amicizia resta oggi, per molti di noi, l'immagine più bella di chi ci ha ricordato che è una cosa possibile, bella e grande onorare il Vangelo col cuore e con la mente. Oggi, che, finalmente, quegli occhi contemplano e quelle mani toccano la ragione ultima d'una vita intera.