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COSCIENZA Il talento della profezia

04 Gennaio 2016

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di BEPPE ELIA

E' certamente sempre rischioso leggere i fatti della storia applicando categorie evangeliche, perché si rischia di adattare in modo improprio a situazioni umane molto complesse e controverse un messaggio che le trascende e non si lascia imprigionare da facili interpretazioni . Ma il discernimento cristiano ha comunque il compito, senza assolutizzare alcun punto di vista, di guardare negli occhi la realtà - personale, sociale, politica - per cogliere i segni della presenza di Dio e la distanza di molte vicende dal cuore di quel Vangelo in cui noi crediamo.

E in questi mesi mi sono domandato se negli eventi che hanno accompagnato la difficile e inquietante relazione fra la Grecia e gli altri Paesi europei, non ci fossero molti degli elementi che, in modo lineare, il Vangelo ci narra attraverso la parabola del padre misericordioso.

La Grecia presenta infatti molte delle caratteristiche del figliol prodigo della narrazione lucana: avendo vissuto per un lungo periodo utilizzando risorse economiche in modo sconsiderato (e con responsabilità diffuse fra molti soggetti), e ritrovandosi a dover chiedere aiuto alla comunità internazionale per garantire una vita almeno dignitosa ai suoi cittadini. Al di là degli atteggiamenti, anche un po' guasconi, di alcuni suoi rappresentanti, il dato oggettivo è quello di un popolo in cui la povertà si è diffusa in modo drammatico, e che oggi chiede di essere aiutato a vivere. Certamente l'Europa non si è comportata come il padre misericordioso, ma, assai più duramente, si è atteggiata come il figlio maggiore, cui ogni gesto di accoglienza paterna è sembrato un cedimento, debole e ingiusto, di fronte ad un fratello che aveva così gravemente sbagliato.

Di certo il ravvedimento dei greci è stato costellato da gesti su cui si possono esprimere molte riserve, così come alcune voci nel coro dei paesi europei sono risultate invece attente alla gravità della situazione. Ma rimane in me un'impressione sconfortante: e cioè che l'Europa ha smarrito per strada l'opportunità di rinsaldare dei vincoli di solidarietà e di fratellanza che sono all'origine del suo stesso esistere. Gli interessi economici dei singoli stati sono sembrati la vera ragione per cui oggi si mantiene in vita l'Unione; c'è una sorta di risentimento dei paesi virtuosi (i fratelli maggiori) verso chi ha sperperato i suoi beni, con forme anche di grettezza e di presunta superiorità morale.

Come in tutte le parabole evangeliche, rimane l'interrogativo del "dopo", che Gesù non ci racconta; cosa succede il mattino successivo alla festa per il ritorno del figlio? Mi piace pensare che il padre, proprio perché buono e giusto, abbia parlato molto chiaro al figlio, mettendolo davanti alla sua responsabilità e chiedendogli puntuali impegni per il futuro. Ben sapendo che ad un uomo, cui non solo si risparmia l'umiliazione per gli errori compiuti, ma verso il quale si compiono gesti di sincera misericordia, si può domandare molto per il futuro.

Ma in questo braccio di ferro, anche feroce, cui abbiamo assistito nei mesi scorsi a Bruxelles, è sembrata mancare proprio la figura del padre, di colui che guarda lontano, che non pretende di essere risarcito, che conosce quanto la coesione e l'amicizia fra le persone valgano assai più di un atteggiamento di equanimità puramente ragionieristica. I padri dell'Europa sono tali non solo perché hanno avuto l'intuizione e il coraggio di superare in tempi brevi secolari inimicizie, per non ripetere i terribili conflitti del passato, ma soprattutto per aver creduto che i popoli potessero accrescere la loro umanità solo all'interno di un clima sociale fraterno e collaborativo.

Non sono passati molti anni dalla animata discussione sul possibile inserimento nella costituzione dell'Europa di un esplicito riferimento alle sue "radici cristiane"; la realtà ha provveduto a dimostrare quanto strumentali e ambigue fossero le ragioni di molti difensori di questa posizione, e quanto le scelte e le azioni pubbliche siano spesso lontane dall'insegnamento evangelico. Varrebbe la pena di ricordare che "Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel Regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli...".

Quanto accaduto in questi ultimi anni rivela un'Europa in cui riemergono nazionalismi e forme di razzismo, incapace di una presenza veramente profetica, per quanto essa è insicura e impaurita rispetto alla inquieta situazione del mondo che la circonda, mentre concentra le sue energie in estenuanti dibattiti assolutamente marginali rispetto alle grandi questioni.
Domenico Quirico, giornalista acuto e coraggioso, grande conoscitore delle vicende internazionali, ha scritto al riguardo parole dure e sapienti: "Abbiamo furiosamente discusso di Grecia, di banche e di debiti. E ora siamo qui, svuotati, stanchi e disillusi, ad ascoltare il ticchettio della Bomba che in Libia (e in Iraq e in Siria ..) continua inesorabilmente a far scorrere il tempo. Non sembra esserci in Occidente uno che abbia un grammo di talento profetico. Recitiamo qui la commedia dell'intelligenza. E' un mondo di pavidi e di incerti, e bisogna stare attenti come ad una epidemia. Purtroppo il mulino della grande crisi del secolo non smette mai di girare e il macinato della Storia scorre fuori attraverso il setaccio per dare vita ad un pane che per noi sarà molto amaro".

E' un quadro che può certamente generare pessimismo e sfiducia. Ma questo non è scontato, perché anche nei momenti difficili vi sono uomini e donne che non smettono di tessere relazioni di umanità e possono vincere sull'egoismo e sulle urla sguaiate.

Il Giubileo della misericordia che abbiamo cominciato a vivere, non è un evento sacrale, che si compie attraverso alcuni gesti simbolici, ma chiede a tutti un rinnovato impegno per il tempo che viviamo. Spero che avremo, anzitutto noi credenti, il "talento profetico" evocato da Quirico, per dare risposta, non solo attraverso parole (pure molto importanti, in un tempo in cui esse sono usate più per ferire che per comunicare), ma con gesti, progetti, realizzazioni personali e comunitarie, al bisogno di umanizzazione e di condivisione che sale da tante parti del mondo e delle nostre città.

(da "Coscienza" n. 4-5/2015)