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INCONTRO AL RISORTO "Perché il mondo sia salvato per mezzo di Lui"

13 Marzo 2015

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In quel tempo Gesù disse a Nicodemo: «Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell'unigenito Figlio di Dio. E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».

(Gv 3, 14-21)

Nicodemo va a trovare Gesù per porgli una serie di domande. Lo fa di notte, per motivi di opportunità, giacché era un personaggio in vista, ma anche perché la "notte" rappresenta per Giovanni "le tenebre" che Gesù è venuto a sconfiggere. Il tema del discorso è: come si realizza il regno di Dio.

Da una parte abbiamo un uomo prigioniero dei vecchi schemi. Nicodemo ha compreso che il passato sta morendo e che non è più in grado di produrre vita. Si sente però troppo stanco per aprirsi al nuovo. Dall'altra parte abbiamo Gesù, che ha risvegliato in lui l'entusiasmo giovanile d'un tempo e che ora lo pone dinanzi al rovesciamento messianico.

Nel brano si ripercuote il verbo "innalzare". La contemplazione del cielo fu la prima scintilla che permise all'homo erectus di scoprire la divinità. Ogni sistema religioso propone una esperienza uranica, di portare l'uomo lassù, in cima, dove cielo e terra si incontrano. Per farlo si costruiscono mappe, percorsi, ricette, che il più delle volte, però, si rivelano fallimentari. C'è un Sisifo in ognuno di noi, che trascina il proprio peso sulla cresta del monte, dove però non si incontra nessuno. E lo sguardo scivola giù, tristemente, insieme alla pietra che rotola via. Per poi ricominciare da capo. Fatica inutile. Vita inutile.
Anche Nicodemo, uomo della Legge, si era arrampicato sul monte di Dio, confidando in una osservanza rigorosa, ma, come Sisifo, si era inaridito, trovandosi al punto di partenza. Così irraggiungibile è Dio? Gesù compie un'operazione sconvolgente, diciamo pure assurda, perché riempie questo spazio vuoto di una presenza: lui sulla croce. Così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo. Il Messia, uomo dell'Amore, dà un appuntamento a tutti i cercatori di Dio. "L'ora" è quella della sua croce.

Solo che questa croce non parla di condanna e di dolori, ma di amore e di salvezza. La nostra sentenza lo ha condannato. Ma nessun verdetto può uccidere l'Amore. L'uomo della croce è innalzato: non per giudicare ma per salvare, non per condannare ma per soccorrere, non per punire ma per redimere. Il Cristo è stato mandato perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. L'ora della croce è l'ora dell'incontro, di una esplosione di luce che cancella ogni notte. Sono così vertiginose queste altezze da dare un senso di capogiro.

Nicodemo si chiedeva "come" Gesù avrebbe realizzato il cambiamento e portato il regno di Dio sulla terra. Ora il maestro gli dà la risposta. L'uomo della croce aspetta Sisifo e il suo abbraccio scioglierà la pietra. In quest'incontro capiremo che il cambiamento non viene da noi, ma dalla fede in Dio che ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito. Riusciremo ad arrenderci a tanto Amore?

La croce smaschera coloro che si coprono di una divinità austera per giustificare i loro sogni di potenza; lava le divinità coperte di fango che non hanno sguardi di pietà verso gli uomini; è il seme di una vita che risorge, che ricomincia, che rifiorisce. Ognuno si fa un'immagine di Dio. La nostra splende sull'albero cosmico piantato al centro del Golgota, di un Dio che, come scrive Bernanos, «non si concede che all'amore». Ha senso dire che Cristo è contro l'uomo?

La finale del brano evangelico spezza però l'incanto e ci fa ripiombare nell'oscurità di tenebre operose. All'uomo sta la scelta. Chi ha creduto all'Amore sa che esiste anche l'anti-amore, che questo è altrettanto attivo nel confondere la verità con la menzogna, la luce con la notte, la morte con la vita. Sono le tenebre giovannee, che esistono, che non sono un abbaglio, che si concretizzano nella malvagità di uomini che si fanno aguzzini di altri uomini, passando persino per "liberatori".
Da questo punto di vista, la croce diventa un simbolo inquietante, un giudizio sul mondo, perché dice che Dio è sempre dalla parte dell'amore violato, dell'amore oppresso, dell'amore crocifisso.

DON GIOVANNI TANGORRA